Com’è cambiata l’Europa che conoscevamo
I nuovi equilibri che stanno prendendo forma dopo lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina.
I nuovi equilibri che stanno prendendo forma dopo lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina.
Dopo oltre sei mesi dall’avvio del conflitto tra Russia e Ucraina, l’Europa e il mondo si confermano stravolti dalla guerra. L’Ucraina si trova a dover affrontare i rischi di un conflitto lungo e senza soluzione in vista, i suoi cittadini sono ormai diventati dei profughi che non vedono prossimo un ritorno nelle loro città, o in quello che ne rimane.
L’economia del paese è stata completamente distrutta e con essa anche quella di molti altri paesi dipendenti dal commercio con l’Ucraina, che si trovano a dover affrontare gli effetti negativi della mancanza di materie prime, soprattutto agricole.
Nonostante l’intervento della Turchia e dell’ONU per sbloccare il grano stoccato nei porti (in particolare in quello di Odessa), la carenza di materie prime agricole ha messo sotto pressione le economie dell’area del Mediterraneo.
Tra questi il Libano, che già soffriva della carenza di grano dopo l’esplosione nel porto di Beirut avvenuta due anni fa, ma anche Egitto e Libia, con il rischio di aumenti delle partenze verso le coste italiane nel tentativo di fuggire dall’assenza di cibo.
Tuttavia i problemi potrebbero essere solo all’inizio, visto che il conflitto non ha consentito la semina dei campi in Ucraina e quindi porterà a un’ulteriore carenza di materie prime agricole nel corso del prossimo anno. Carenza che condurrà a un aggravio della situazione alimentare in molte aree povere del mondo e avrà probabilmente un impatto negativo anche sui prezzi dei prodotti alimentari.
Il gas, uno dei problemi principali
Tuttavia, dopo più di sei mesi dall’inizio del conflitto, è tempo dei primi bilanci partendo ovviamente da uno dei temi principali che preoccupa direttamente l’Europa: il gas. Le quotazioni del gas hanno registrato in questo periodo una notevole escursione dei prezzi, alimentando la speculazione e mettendo sotto pressione molte attività industriali, commerciali, nonché l’intera comunità.
I dibattiti istituzionali a livello europeo sulla fissazione di un tetto al prezzo del gas non sembrano aver trovato terreno fertile. Al momento risulta essere ancora un progetto in via di risoluzione.
Le quotazioni del gas naturale sulla Borsa di Amsterdam sono passate dai 18 euro/MWh prima dell’inizio della guerra, agli attuali 220 euro/MWh, dopo aver raggiunto i 350 euro/MWh a marzo e i 340 euro/MWh ad agosto
Le quotazioni del gas naturale sulla Borsa di Amsterdam, benchmark di riferimento per i prezzi europei, sono passate dai 18 euro/MWh prima dell’inizio della guerra, agli attuali 220 euro/MWh, dopo aver raggiunto i 350 euro/MWh a marzo e i 340 euro/MWh ad agosto. Il movimento rialzista del mercato è stato favorito dalle dichiarazioni di Gazprom di chiusure temporanee per lavori di manutenzione, non programmati.
L’impressione è che le limitazioni di erogazione del gas siano più politiche che realmente legate a interventi manutentivi, e siano volte a mettere sotto pressione l’Europa del nord, in particolare la Germania, soprattutto alla vigilia del periodo degli approvvigionamenti per il periodo autunnale e invernale.
Il tentativo di diversificazione della dipendenza dal gas russo, inoltre, ha esposto i governi europei a diverse critiche, comprese quelle dell’area ecologista europea che vede alta la minaccia del ricorso alle centrali a carbone per sopperire alla carenza energetica; tema questo all’ordine del giorno anche in Italia con il piano di riapertura delle sei centrali a carbone attualmente attive a regime ridotto. Inoltre una diversificazione, nonostante sia la strada preferibile da perseguire, necessiterebbe di tempi lunghi al momento non percorribili, pertanto non risolverebbe il problema imminente.
Materie prime, sempre più care
Al momento, la politica internazionale prova a frenare l’aumento dei prezzi delle materie prime energetiche con continue pressioni al presidente russo, Vladimir Putin. Nell’ultima riunione dei ministri delle Finanze del G7 di inizio settembre, infatti, si è finalmente raggiunto un accordo che prevede di fissare un tetto al prezzo del petrolio proveniente dalla Russia.
Lo scopo di questo piano è duplice: da una parte è un tentativo di allentare la pressione sui prezzi energetici, dall’altra dovrebbe favorire la riduzione dei ricavi dalla vendita di petrolio russo (che ha finora finanziato la guerra contro l’Ucraina). Tuttavia, il piano dovrebbe entrare in vigore il 5 dicembre per il petrolio e il 5 febbraio per i prodotti raffinati, pertanto la Russia dovrebbe ancora beneficiare di tre mesi di prezzi elevati e soprattutto di una forte domanda per le riserve.
Ma un altro problema per l’Europa, oltre alla ratifica di tutti i membri dell’UE, risiede anche nei paesi terzi, tra cui l’India, che acquistano petrolio dalla Russia. I paesi asiatici, infatti, stanno beneficiando di un tentativo della Russia di diversificare le entrate vendendo il petrolio a prezzi scontati e ricevendo rubli o renminbi dalla sua vendita.
Un altro problema per l’Europa, oltre alla ratifica di tutti i membri dell’UE, risiede anche nei paesi terzi, tra cui l’India, che acquistano petrolio dalla Russia. I paesi asiatici, infatti, stanno beneficiando di un tentativo della Russia di diversificare le entrate vendendo il petrolio a prezzi scontati e ricevendo rubli o renminbi dalla sua vendita
Tornando agli effetti negativi dell’aumento dei prezzi delle materie prime agricole ed energetiche, si è visto come questi due elementi abbiano spinto l’inflazione in Europa (e non solo) a raggiungere livelli che non si vedevano dagli anni ’80, costringendo le famiglie a rivedere i propri piani di spesa e portando le banche centrali mondiali a rivalutare la propria politica monetaria.
L'azione delle banche
Se le banche centrali mondiali hanno attivato un programma di supporto all’economia nel periodo successivo all’esplosione della pandemia da Covid-19, azzerando il costo del denaro e avviando programmi di supporto all’economia come ad esempio il Pandemic Emergency Purchase Programme della BCE che si è tradotto nel Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) italiano, l’attuale crisi ha imposto un cambio di rotta con l’avvio di azioni restrittive di politica monetaria. Dapprima, con la fine degli acquisti di bond governativi e successivamente con primi aumenti dei tassi di riferimento.
Le azioni più incisive sono state effettuate principalmente da Federal Reserve e dalla Bank of England, con quest’ultima che deve contrastare un’inflazione attesa entro la fine dell’anno prossima al 20% e che non dovrebbe allentarsi in modo particolare agli inizi del 2023.
La Banca Centrale Europea, tuttavia, se all’inizio è stata attendista e ha portato l’euro a deprezzarsi principalmente nei confronti del dollaro, a luglio ha effettuato il primo aumento dei tassi dal 2011 con un rialzo di 50 punti base che ha posto fine ai tassi negativi per tutti e tre i principali tassi chiave (tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale, rispettivamente allo 0,50%, allo 0,75% e allo 0,00%).
A settembre, invece, l’azione è stata più aggressiva con un aumento di 75 punti base, così che la BCE si è allineata alle principali banche centrali dei paesi industrializzati. Nella conferenza stampa della presidente della BCE, Christine Lagarde, è stata ribadita la fermezza nella decisione di aumentare ulteriormente i tassi, per contrastare quella che è divenuta una piaga dell’economia europea e non solo, ovvero l’inflazione.
Tuttavia, non è detto che queste azioni riescano ad avere effetti positivi nel raffreddare l’aumento dei prezzi, anzi rischiano di avere un effetto negativo in termine di crescita economica. Non a caso gli Stati Uniti stanno già sperimentando un arretramento del Prodotto Interno Lordo, con il rischio di recessione tecnica (tre trimestri consecutivi con segno negativo) già con la pubblicazione del prossimo dato sul terzo trimestre.
La Russia è alle strette
La crisi economica e l’aumento dell’inflazione colpiscono anche la Russia, indebolita dai diversi pacchetti di sanzioni (ormai siamo all’ottavo pacchetto di sanzioni varato dall’Unione europea oltre a quelli già imposti dal Tesoro degli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna) che stanno pesando su crescita e inflazione.
Secondo gli ultimi dati (15 settembre 2022, N.d.R.), l’inflazione in Russia ha raggiunto il 15,9% a giugno, mentre il Prodotto Interno Lordo dovrebbe contrarsi del 6% nel 2022 (secondo la stima del Fondo Monetario Internazionale).
La Banca Centrale Europea all’inizio della guerra è
stata attendista. Questo ha portato l’euro a deprezzarsi principalmente nei confronti del dollaro, a luglio ha effettuato il primo aumento dei tassi dal 2011 con un rialzo di 50 punti base che ha posto fine ai tassi negativi per tutti e tre i principali
tassi chiave
A questo punto è chiaro che come conseguenza della guerra, anche la Russia rischia un lungo periodo di difficoltà a causa dell’uscita di società straniere, della perdita dei suoi mercati petroliferi, del gas a lungo termine e del suo ridotto accesso alle importazioni critiche di tecnologia e input.
Inoltre al fine di limitare gli effetti negativi del calo della crescita, la Banca Centrale Russa ha tagliato i tassi di interesse che nella riunione di luglio risultavano all’8% al di sotto del livello prebellico. Intanto la Russia ha stretto un accordo con la Cina per il pagamento del gas russo attraverso il gasdotto Sila Sibiry, in rubli o renminbi, sganciandosi dalla forza del dollaro e dal predominio della valuta statunitense a livello globale.
La stessa Cina ha deciso di deprezzare la propria moneta nei confronti del dollaro, attraverso la riduzione del tasso di riserva obbligatoria (RRR – Reserve Requirement Ratio) nel tentativo di favorire l’export e stringere ancora di più la morsa nei confronti dei paesi importatori creando un asse Russia-Cina che possa contrastare il dominio politico ed economico degli Stati Uniti.
Lo scacchiere geopolitico vede, pertanto, nuovi movimenti con l’asse asiatico che cerca di rivendicare l’importanza geografica, economica e politica che gli compete.
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