Gli effetti della crisi tra Russia e Ucraina
Oltre alle terribili perdite di vite umane, il conflitto minaccia l’approvvigionamento di materie prime fondamentali per l’economia europea, a partire dal gas per arrivare ad alluminio e nichel.
Oltre alle terribili perdite di vite umane, il conflitto minaccia l’approvvigionamento di materie prime fondamentali per l’economia europea, a partire dal gas per arrivare ad alluminio e nichel.
La guerra in corso tra Russia e Ucraina apre una ferita lunga quasi un decennio e impone al mondo la necessità di confrontarsi (e dividersi) sulla prospettiva di una duratura Guerra Fredda.
[Questo articolo è stato scritto il 9 marzo 2022, N.d.R.]
Le origini del conflitto tra russi e ucraini sono da ricercare in un periodo ben più lontano rispetto all’attuale situazione, collocandosi in un’epoca antecedente al conflitto del 2014 che ha portato all’annessione della Crimea da parte della Russia.
Già nell’estate del 1991, a seguito della fine dell’Urss e all’avvio di stati indipendenti dell’ex blocco sovietico, era possibile distinguere, all’interno della neonata Ucraina, due anime: una più legata al principio dell’indipendenza e vicina ai valori europei e l’altra che sperava in un riavvicinamento della madre patria russa.
Il periodo più travagliato, tuttavia, si registra a partire dal 2004, quando si assiste all’inizio delle tensioni dopo la vittoria alla corsa presidenziale da parte del primo ministro Viktor Yanukovich (filorusso) nei confronti dell’oppositore Viktor Yushchenko.
Da questo momento fino al 2013 si sono susseguite proteste e tensioni che hanno alimentato un conflitto interno tra ucraini, russi o filorussi, molto simile a una guerra civile, scatenando infine una tensione armata tra Russia e Ucraina che portò appunto, nel 2014, all’annessione della Crimea alla Russia, grazie a una votazione referendaria indetta dopo l’occupazione degli edifici governativi della Crimea da parte dei ribelli armati filorussi.
Il ruolo del gas russo
L’Europa in questo lungo periodo storico è stata una spettatrice silenziosa. In parte perché l’Ucraina è sempre stata ritenuta un paese in “costruzione” dalle macerie del 1991, in parte perché i rapporti economici con la Russia hanno sempre prevalso sulle questioni politiche. La Russia, di suo, ha sempre imposto il proprio potere grazie al forte controllo di una materia prima importante per l’intera Europa: il gas.
Importiamo infatti circa il 40% di gas dalla Russia, attraverso alcuni gasdotti che attraversano Polonia, Ucraina e Mar Nero, mentre il restante fabbisogno arriva da Norvegia, Algeria, Libia e Azerbaigian grazie al progetto Tap e infine tramite l’acquisto internazionale di gas liquefatto LNG, portato via nave attraverso i principali porti del Nord Europa.
L’Europa importa circa il 40% di gas dalla Russia, attraverso gasdotti che attraversano Polonia, Ucraina e Mar Nero, mentre il restante fabbisogno arriva da Norvegia, Algeria, Libia e Azerbaigian
Con un potere del genere, la Russia ha sempre imposto una pressione sull’Europa e infatti, in passato, quest’ultima ha subito una riduzione delle forniture a causa di dispute sui pagamenti del gas da parte dei paesi intermedi.
La possibilità di “chiudere i rubinetti” a proprio piacimento ha fornito un ruolo chiave alla Russia, soprattutto nei confronti dei paesi confinanti che vedono transitare nel proprio territorio i gasdotti che portano il gas verso gli hub di smistamento europei, e tra questi l’Ucraina.
Cercare di smarcarsi da questa dipendenza è al momento un esercizio difficile, nonostante i tentativi degli Stati Uniti di fornire gas LNG o favorire nuovi partner di approvvigionamento. La sostituzione di forniture non è facile da attuare considerando anche gli investimenti effettuati negli anni per il completamento dei gasdotti e degli impianti di rigassificazione.
Basti pensare che il progetto Tap ha avuto un investimento di 40 miliardi di euro di cui 4,5 miliardi per la quota italiana, oppure al gasdotto Nord Stream 2 che attraverso il Mar Baltico avrebbe dovuto portare gas in Germania. Ma al di là dell’aspetto investimenti, il gas è centrale nella transizione ecologica che sfrutta questa materia prima anche per la produzione di energia pulita.
Il gas in Italia
Il conflitto sta avendo un impatto diretto anche sui cittadini europei che hanno visto le proprie bollette aumentare notevolmente a causa dell’incremento senza precedenti del prezzo del gas sui mercati mondiali.
In molti si sono detti preoccupati per l’impatto del rincaro di questa materia prima sulla ripresa economica, dopo che all’inizio della pandemia abbiamo assistito al crollo dell’economia europea a causa delle azioni dei governi finalizzate a contrastare la diffusione del virus prima dell’arrivo dei vaccini.
Molte aziende hanno già dovuto arrendersi all’aumento dei prezzi del gas e molte altre stanno facendo i conti con questi rialzi. Già tra aprile e novembre 2021 le quotazioni dell’Henry Hub Natural Gas hanno segnato un aumento del 160% passando dai $2,4/MMBtu a $6,3/MMBtu prima di subire importanti storni e attestarsi oltre i $4/MMBtu che rappresentano comunque quotazioni di oltre il 70% superiori rispetto al 2019.
La dipendenza europea dalla Russia in termine di gas importato, tuttavia, ha visto l’Italia non solo più libera di agire, ma anche di decidere se schierarsi a favore dell’Ucraina.
La presenza di tre differenti gasdotti che dal Sud Italia riforniscono di gas il belpaese ha infatti consentito all’Italia, a fine 2021 e inizio 2022, di esportare gas anche ai paesi oltralpe, tra cui Francia e Svizzera, rendendo centrale anche il proprio ruolo all’interno di questa faida economica. Inoltre, la presenza di un rigassificatore al largo della Toscana favorisce l’approvvigionamento di gas liquefatto da fonti secondarie, rendendo il paese un perno nella geologia politica dell’Europa.
Ciononostante, l’aumento dei costi di approvvigionamento del gas non rende l’Italia immune dai rincari. Inoltre, l’Italia e l’Europa restano legate alla Russia per il rifornimento di altre importanti materie prime. L’alluminio e il nichel, solo per citarne alcune, sono alla base della manifattura europea.
Alluminio e nichel: un ruolo geopolitico tra Russia e Usa
Dopo il gas un’altra materia prima importante per l’economia mondiale è l’alluminio, che rappresenta il più grande mercato al mondo tra i metalli non ferrosi. L’alluminio vede l’Europa e in particolare l’Italia tra i principali attori nella produzione di metallo grezzo e trasformazione in prodotti finiti ma, ancora una volta, dipendenti da un unico filo conduttore: la Russia.
L’Italia e l’Europa restano legate alla Russia per il rifornimento di altre importanti materie prime: l’alluminio e il nichel, per citarne alcune, sono alla base della manifattura europea
Il motivo della dipendenza dell’alluminio dalla Russia è legato a due fattori che vedono il paese sovietico attore principale: il primo è nuovamente il gas utilizzato per la fusione di rottami di alluminio in prodotti semilavorati e finiti che fanno dell’alluminio uno dei metalli più energivori al mondo, la seconda è la presenza di un importante player mondiale rappresentato dalla United Company Rusal (ex Russian Aluminum Inc), secondo produttore al mondo dopo la Chinalco (società statale cinese).
In particolare, la Rusal è uno dei principali fornitori di metallo leggero all’Europa che lo utilizza per la maggior parte delle produzioni di prodotti finiti con un’importante crescita, anche nel settore automobilistico. Anche in questo caso, per quanto riguarda il gas, gli effetti di contrasti geopolitici hanno avuto ripercussioni negative sui prezzi dell’alluminio.
Infatti, solo per citare il recente passato, nell’aprile 2018, dopo una serie di azioni nei confronti di oligarchi russi vicini al presidente Vladimir Putin, gli Stati Uniti imposero alcune sanzioni economiche colpendo in modo diretto e importante Oleg Deripaska, ovvero il numero uno di Rusal (e di En+ Group).
Le sanzioni comminate dall’amministrazione Trump, tramite il dipartimento del Tesoro, erano finalizzate a mettere fuori causa i benefici ottenuti indirettamente dalla cerchia ristretta del presidente Putin e limitare le pressioni sulla Crimea e sul regime siriano di Bashar al-Assad.
Le quotazioni dell’alluminio registrarono in brevissimo tempo un allungo di quasi il 40%, ma le conseguenze per gli operatori europei furono ben più pesanti e durature. Infatti, oltre a colpire la Rusal, il governo degli Stati Uniti impose potenziali dazi a tutti coloro che avrebbero continuato ad avere relazioni commerciali con la società russa.
Questo portò alla cancellazione di molti contratti di fornitura e, conseguentemente, all’impossibilità di adempiere agli impegni di produzione da parte delle società europee.
Già tra aprile e novembre 2021 le quotazioni dell’Henry Hub Natural Gas hanno segnato un aumento del 160% passando dai $2,4/MMBtu a $6,3/MMBtu prima di subire importanti storni e attestarsi oltre i $4/MMBtu che rappresentano comunque quotazioni di oltre il 70% superiori rispetto al 2019
L’attuale guerra tra Russia e Ucraina ha riproposto gli stessi temi con prezzi in continuo rialzo che hanno portato le quotazioni del benchmark di riferimento, il contratto a tre mesi quotato sul London Metal Exchange, a superare i 3.200 dollari per tonnellata, oltre a un netto aumento dei premi (sovrapprezzo pagato per la consegna fisica di metallo) sia in Europa, sia in Usa e Giappone.
L’aumento dei premi, inoltre, ha imposto una continua corsa al ritiro di metallo nei magazzini censiti presso le principali borse mondiali (LME, SHFE e CME), aggravando una situazione già difficile e lanciando gravi allarmi per la mancanza di metallo nel mondo. Ma il discorso fatto per l’alluminio riguarda anche altri metalli, come nichel e acciaio oltre a palladio e cobalto.
Infatti, la più grande società mineraria di nichel al mondo, la Nornickel, è anch’essa una società russa, nonché partecipata dalla Rusal. Di fatto controlla il mercato mondiale di nichel, diventato ancora più essenziale per la produzione di batterie per le auto elettriche, oltre alla produzione di acciaio inossidabile.
La necessità di una minore emissione di CO2 da parte delle automobili a favore di una mobilità elettrica, infatti, ha imposto la corsa ad accumulare scorte di nichel e non solo da parte delle società automobilistiche, aumentando la dipendenza dell’Europa e del mondo nei confronti della Russia.
Gli scenari possibili
Se la pandemia ci ha resi inermi e dipendenti dalle forniture di presidi medici di prima difesa dalla Cina, la necessità di materie prime fondamentali per l’economia europea ci ha reso deboli nei confronti della Russia, confermando che il conflitto tra Russia e Ucraina non porterà nessun beneficio per l’Europa.
Le perdite, oltre alle tante vite umane, sono enormi anche sotto l’aspetto economico e nessuno ne può uscire vincitore. L’Europa passerà inverni difficili e freddi a causa della carenza di gas, ma l’economia potrebbe non riuscire a evolversi e recuperare lo stato di benessere precedente alla pandemia, mettendo a rischio i progressi economici e riportando il mondo indietro di almeno 60 anni.
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