Il lavoro chiama. Chi risponde?
Migliaia di posti disponibili, ma poche competenze per occuparli: è il grande paradosso italiano che va in scena nelle imprese della meccanica italiana.
Migliaia di posti disponibili, ma poche competenze per occuparli: è il grande paradosso italiano che va in scena nelle imprese della meccanica italiana.
Si definisce mismatch o gap. Tra domanda e offerta. Domanda delle imprese e offerta del mercato del lavoro. Secondo l’ufficio studi di Confindustria nei prossimi tre anni ci saranno 193mila nuove assunzioni di profili tecnici. Ma il punto è che queste figure professionali scarseggiano. «In un caso su tre saranno introvabili, vista l'offerta formativa che è carente soprattutto per le competenze tecnico-scientifiche medio-alte», sentenza la ricerca di Confindustria sul fabbisogno delle imprese nel triennio 2019-2021 presentata nella XXV Giornata nazionale Orientagiovani. Solo la meccanica metterà a disposizione 68mila posti di lavoro nel triennio. Di questi, circa un terzo saranno disponibili per professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione, come ingegneri, progettisti e specialisti in scienze informatiche, e per professioni tecniche, come i tecnici della gestione dei processi produttivi e per la conduzione di impianti produttivi. Il Nord fa la parte del leone con un fabbisogno del 32,8%, pari a 22mila posti di lavoro nella meccanica. Un esempio fra tutti quello della bresciana Carpenteria Meccanica Almici. «Si fa fatica a trovare manodopera specializzata in grado di dare un ricambio generazionale all'azienda», dice Pietro Almici. «Con Quota 100 nella mia azienda si liberano sette posti per meccatronici, operatori di macchine utensili e assemblatori. Io assumerei giovani senza esperienza che abbiano però una formazione tecnica alle spalle. La scuola deve fare la sua parte che poi noi completiamo con l’esperienza sul campo».
Nei prossimi tre anni ci saranno 193mila nuove assunzioni, di cui 68mila solo nella meccanica, di profili tecnici; ma queste figure professionali saranno introvabili in un caso su tre
Dove siamo e dove dobbiamo arrivare? Guardiamo l’Europa
Gli Stati generali dell’Education di Confindustria, che ha avuto luogo a Torino il 13 maggio, ha diffuso nuovi dati dell’istruzione italiana in confronto alla media europea e a paesi quali Cina, Usa, India.
«Il nostro obiettivo non è condividere ricette o soluzioni, ma farci le domande giuste per inaugurare un percorso che porti a risultati concreti», dichiara Giovanni Brugnoli, vicepresidente di Confindustria per il capitale umano. «In Italia solo il 3,4% del nostro Pil è dedicato all’istruzione. Ci sono paesi, come Usa e Germania, i nostri principali competitori, che sono al 5%. Vogliamo collaborare con il governo per un obiettivo concreto: aumentare dell'1% le risorse da destinare all'istruzione», afferma il vicepresidente Brugnoli.
Siamo indietro: il 3,2% dei giovani italiani tra i 16 e 29 anni ha zero competenze digitali di base e il 75,2% dei docenti ha urgente bisogno di formazione in materia Ict. Inoltre, soltanto l’1% degli studenti terziari fa percorsi di formazione professionalizzante, fondamentali per trovare un lavoro e mantenerlo nel tempo. Il numero annuale dei diplomati Its è ancora basso, circa 2.600 persone. Ne servono almeno 20mila, come nei paesi presi a riferimento, soltanto per rispondere all'emergenza di competenze delle imprese nei prossimi dodici mesi. Così come sono ancora pochi i laureati in Italia e pochissimi i laureati nelle materie Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica).
In Italia solo il 3,4% del nostro Pil è dedicato all’istruzione. Usa e Germania, i nostri principali competitori, investono il 5%. Abbiamo, inoltre, una bassa percentuale di laureati nelle materie scientifiche
Una situazione molto differente dal resto del mondo. Basti pensare che l’India, come testimoniato da Adhitya Iier, strategist indiano, ogni anno laurea un numero di ingegneri doppio rispetto alla popolazione islandese. Sian Proctor, astronauta e divulgatrice scientifica americana, rileva invece un gender gap: le donne difficilmente intraprendono una carriera negli Stem. In America il past president Obama ha favorito la riduzione di questo gap con la diffusione di una nuova cultura. La Cina ha fatto ancora di più: ha accompagnato, invece, il piano strategico “Made in China 2025” con una “Guida dello sviluppo del personale dell’industria” a cura del ministero cinese dell’educazione. Perché? Perché la rivoluzione industriale pretende nuove competenze professionali. Obiettivi al 2049 con un aumento del personale hi tech del 28% e un +22% dei lavoratori con una formazione universitaria. L’Europa non è da meno: nel 2030 punta a raggiungere i 17 obiettivi condivisi tra tutti i paesi dell’unione. Il quarto è dedicato all’istruzione. Secondo Joao Santos, vicecapo Unità Dg Employment, social affair and inclusion della Commissione europea, se fino a 25 anni fa esisteva il tempo della formazione, a cui seguiva quello del lavoro e poi la pensione, oggi la formazione è permanente di pari passo con il lavoro fino al pensionamento. È la life long learning utile a essere considerati sempre occupabili. E il sistema di formazione deve adattarsi velocemente a questo nuovo modello del mercato del lavoro. La tecnologia cambia le competenze e aumenta le possibilità per l’uomo. Un pit stop nel 1950 durava 66 secondi e impiegava 5 persone. Oggi dura 4 secondi e richiede l’intervento di 22 tecnici. La nuova sfida è quella di una diversa organizzazione rispetto alla complessità attuale: questa è la dinamica del cambiamento. Obiettivi a lungo termine all’estero, quindi, mentre l’Italia si sofferma sul brevissimo termine politico delle elezioni europee.
L’industria sa farsi capire dai giovani?
«Le imprese hanno fame di talento, ma per far venir fuori quello dei giovani c'è bisogno di una formazione aperta all’industria», ha detto il vicepresidente Brugnoli che invita a «scegliere i centri di formazione professionale, le scuole, gli Its e le università che sono più aperte al mondo del lavoro e che valorizzano il know-how e le tecnologie delle imprese». Ma il mondo delle imprese è ancora attrattivo per i giovani? Blueeggs, società specializzata nei Deep Trend di consumo emergenti e nelle strategie di branding, ha tracciato un’analisi sul manifatturiero italiano. Tra gli elementi che potrebbero rendere poco attraente per i giovani il lavoro in un’azienda manifatturiera, al primo posto vince l’idea che nelle aziende manifatturiere si richieda lavoro faticoso e manuale (64%), seguita da una visione di lavoro ripetitivo, poco creativo (48%) e che il lavoro in fabbrica sia poco riconosciuto socialmente (41%). Il 29% degli imprenditori intervistati, inoltre, pensa che ad influire possa essere anche l’immaginario dell’azienda manifatturiera come luogo “tecnologicamente arretrato”, e riconduce ai fattori poco appealing l’idea che gli spazi e i tempi di lavoro siano a “orari fissi e vincolanti”, lontani quindi dall’attuale stile di vita più orientato alla flessibilità e allo smart working. Non tutte le aziende, certamente sono al passo con i tempi.
Per i giovani il lavoro in un’azienda manifatturiera è poco attraente perché ritenuto faticoso e manuale, ripetitivo, poco creativo e poco riconosciuto socialmente
Lo dimostra l’Istat secondo cui il 63% delle imprese italiane si dichiara indifferente alla trasformazione digitale. Per questa ragione, lo scorso marzo è stato firmato un accordo tra Google e Confindustria per favorire la digitalizzazione della manifattura. Secondo Diego Ciulli di Google Italia se la sfida formativa è chiara nei giovani, tanto più la sfida culturale deve diventare urgente anche per gli imprenditori. In campo è scesa anche Microsoft con il progetto “Ambizione Italia” per contribuire alla crescita delle capacità digitali del Sistema Paese colmando il divario tra le competenze del futuro e le competenze attuali.
La scuola lavora con le imprese
In prima linea per ridurre il gap ci sono ancora una volta il mondo educativo e quello industriale. Come è accaduto a Magenta dove l’istituto professionale Aslam nel dialogo con alcune aziende del territorio ha creato il Training Center Frigoristi, il primo laboratorio scolastico del freddo in Italia. Al suo fianco le associazioni Assocold e Assofrigoristi interessate a favorire la formazione di futuri tecnici frigoristi. Si tratta anche della prima scuola in Europa, dove è riprodotto un intero piccolo punto vendita dotato dell’innovativa tecnologia a CO2 transcritico. La volontà di investire nella professionalizzazione dei tecnici frigoristi nasce dalla crescente esigenza del mercato di rivolgersi a una figura esperta anche nella gestione dei nuovi fluidi refrigeranti naturali, che costituiscono le soluzioni del futuro a basso impatto ambientale.
Le imprese al lavoro con la scuola
Il binomio scuola-azienda è risultato vincente a Borgomanero. 16 giovani senza competenze né esperienze nel settore meccanico sono diventati operatori di macchine utensili, una figura professionale molto ricercata nel territorio. Un risultato reso possibile dalla collaborazione tra la Cimberio SpA e Randstad. Il corso di 240 ore di formazione ha visto il susseguirsi di lezioni teoriche di lettura del disegno meccanico, strumenti di misura, uso del tornio e della fresa tradizionali e a controllo numerico, basi di programmazione ISO, e prove pratiche presso l’azienda Cimberio. «Abbiamo progettato questo corso per rispondere alle esigenze delle imprese del settore meccanico del territorio, un’area molto vitale che ha bisogno di profili specializzati ma non sempre riesce a trovare candidati con competenze adeguate», afferma Anna Mora, Unit Manager di Randstad. «L’obiettivo è quello di facilitare e accompagnare i candidati nello sviluppo di competenze spendibili sul mercato del lavoro e nel successivo inserimento in azienda». «Uno dei punti cardine di Cimberio, fin dalla sua fondazione oltre 60 anni fa, è stato quello di ottenere la migliore qualità dei nostri prodotti attraverso le migliori tecnologie disponibili», ha dichiarato Roberto Cimberio, Ceo di Cimberio. «Il continuo aggiornamento delle competenze delle nostre persone è dunque un elemento chiave per raggiungere questo risultato e abbiamo quindi aderito con piacere a questa iniziativa per costruire e migliorare le competenze tecniche di chi si affaccia al mondo del lavoro in un distretto ad alto valore tecnologico come quello della rubinetteria in cui operiamo».
Il binomio scuola-azienda è risultato vincente in molti casi. Un esempio a Borgomanero grazie alla collaborazione tra scuola, Cimberio SpA e Randstad, o a Udine con la multinazionale Danieli
E, ancora, la multinazionale Danieli, che a Udine produce impianti siderurgici, ha individuato nella Danieli Academy la strada per lo sviluppo delle competenze. L’azienda ha stretto 70 collaborazioni tra università Italiane ed estere, centri di ricerca e Its. «La forza Its in Italia è rappresentata da circa 9.000 giovani in formazione contro i quasi 800mila della Germania. Gli Its sono percorsi virtuosi che rispondono alle richieste delle aziende che sono soci fondatori degli stessi: un circolo ottimale!», dice Paola Perabò, vicepresident Danieli Academy. In circa un anno vengono somministrate agli interni 40mila ore di formazione, sia per competenze tecniche sia per le "soft skills", competenze trasversali fondamentali nel lavoro in team. Questo modello, costituito a Buttrio (Ud), viene esportato in tutto il mondo.
Si tratta di iniziative virtuose, ma, è da chiedersi, sufficienti senza un Sistema Paese adeguato?
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