La dittatura delle commodities
Le oscillazioni dei prezzi delle materie prime mettono in allarme le aziende manifatturiere. Dietro il fenomeno la pandemia, la ripresa della Cina, nuovi trend e un effetto domino sulla catena di approvvigionamento.
Le oscillazioni dei prezzi delle materie prime mettono in allarme le aziende manifatturiere. Dietro il fenomeno la pandemia, la ripresa della Cina, nuovi trend e un effetto domino sulla catena di approvvigionamento.
Le quotazioni delle commodities sono tornate a scambiare su livelli massimi riportandosi stabilmente oltre i livelli pre-pandemia. Tuttavia, questi rialzi non sono sempre frutto della ripresa economica nell’era post-Covid19. Questa crescita a macchia di leopardo è caratterizzata dalla presenza di paesi che, beneficiando dei programmi di stimolo economico e organizzazione sanitaria, sono riusciti a tornare a correre a discapito di altri ancora alle prese con un sistema sanitario in forte sofferenza, come ad esempio Brasile e India.
La ripresa economica ha visto la Cina come apri fila per rilanciare la propria economia nella primavera dello scorso anno, dopo aver affrontato per prima l’avvio della pandemia e i lockdown nazionali. Il forte incremento delle attività produttive è apparso come un barlume di speranza per le economie ancora ferme e attive solo nel contrasto della prima ondata pandemica.
I piani di stimolo messi in atto dal governo cinese hanno spinto la seconda economia mondiale a rivolgersi alle altre nazioni alla ricerca di materiali che potessero soddisfare le proprie necessità. Questo fenomeno ha causato un’affluenza eccezionale di navi container verso i porti cinesi, creando lunghe code di ingresso nei porti e dilatando i tempi di consegna di oltre 30 giorni. Di conseguenza, si è registrata un’impennata dei costi dei noli navali e allo stesso tempo un calo delle disponibilità di container con il rispettivo aumento dei prezzi di oltre il 300% per spedizioni dal Mediterraneo a Shanghai.
Le ripercussioni, accusate su tutta la catena di approvvigionamento, han visto crescere in modo esponenziale anche i costi di trasporto e i beni deperibili utili per la spedizione di prodotti e merci – come, ad esempio, i bancali aumentati tra il 20% ed il 30% nell’ultimo anno.
A questo si è aggiunto anche l’incagliamento, nel canale di Suez, di una delle navi portacontainer più grande al mondo, la Ever Given di proprietà della società taiwanese Evergreen, che ha interrotto il traffico tra Asia ed Europa per una settimana allungando i tempi di transito, nonché i costi.
La crescente domanda di metalli per nuove finalità di utilizzo ha spinto le principali banche d’affari a rivedere le stime di prezzo delle commodities
Tuttavia, gli enormi sforzi economici messi in atto dalle economie mondiali, hanno favorito una ripresa che ha interessato principalmente i metalli ferrosi e non ferrosi. A questo si è aggiunta anche la decisione della Cina di ridurre la propria impronta di carbonio nel mondo favorendo una politica “green”, nel tentativo di rientrare nei parametri stabiliti entro il 2050. Questo si è tradotto
in una riallocazione delle industrie “energivore”, tra le quali, quelle relative alla produzione di alluminio che ricopre un mercato da 45 milioni di tonnellate. In questo modo la Cina rappresenta il primo produttore al mondo con lo spostamento di importanti ed enormi siti produttivi dall’Inner Mongolia verso la regione dello Yunnan, che può beneficiare di impianti idroelettrici fondamentali per la produzione di alluminio.
A quanto detto va sommata una crescente domanda di metalli, come rame e nichel, per la produzione di batterie per auto elettriche o ibride elettriche (Hev, Phev e Ev) soprattutto in Cina, dove la crescita della vendita di queste nuove auto ha registrato tassi in netto rialzo. Il settore automotive ha fornito uno slancio anche all’alluminio che, grazie alla sua leggerezza, è in grado di favorire il contenimento del peso, aumentandone la performance e riducendone i consumi, con conseguente aumento delle applicazioni di metalli in mercati nuovi e dal forte potenziale.
Rame, nuovo petrolio
Inoltre, la crescente domanda di metalli per nuove finalità di utilizzo ha spinto le principali banche d’affari a rivedere le stime di prezzo di queste commodities. Tra tutte, l’americana Goldman Sachs ha rinominato il rame come il “nuovo petrolio”, considerando che il metallo rosso sarà sempre più al centro della transizione dell’economia basata sull’elettrificazione e meno dipendente dai combustibili fossili. Infatti, non si potrà avviare una nuova rivoluzione green mondiale senza rame, viste le ampie applicazioni nei settori come quello elettromagnetico (solare), cinetico (eolico) e geotermico.
I costi dei noli navali impennano, mentre cala la disponibilità di container, con un aumento dei prezzi di oltre il 300% per spedizioni dal Mediterraneo a Shanghai
Il rame è alla base della decarbonizzazione economica che entro il 2030 dovrebbe spingere la domanda di metallo, in crescita del 600%, a 5,4 milioni di tonnellate con un potenziale picco del 900% a 8,7 milioni di tonnellate in caso di adozione della tecnologia verde da parte dell’intero pianeta. Non a caso Goldman Sachs stima prezzi in netta crescita entro il 2025, attesi 15mila dollari per tonnellata per il metallo rosso, con un trend crescente già a partire dall’anno in corso. Complice la difficoltà che una domanda simile sia supportata da una crescita dell’estrazione e produzione di rame e dall’aumento dei tassi di riciclo di metallo.
A questo si aggiungono anche i tempi di invio di prodotto estratto nei siti di lavorazione e produzione, spesso distanti migliaia di chilometri tra loro. Basti pensare che le più importanti miniere di rame sono situate tra Cile e Perù – rispettivamente primo e secondo produttore al mondo – mentre le principali fonderie di rame sono in Cina, a questo vanno sommate le problematiche climatiche a dettarne i tempi. Un esempio di come le forze della natura possano incidere sui tempi si è registrato in gennaio, quando a causa delle forti mareggiate, si è verificata un’interruzione dei collegamenti marittimi dai porti cileni. Inoltre, la stagione dei monsoni asiatici e quello degli uragani nel golfo del Messico pongono delle limitazioni nei tempi di consegna in determinati periodi dell’anno. Questo senza tenere conto di eventi naturali, quali i terremoti, che potrebbero limitare in parte o del tutto le attività produttive.
Dello stesso avviso anche la World Bank che ha pronosticato un rialzo generalizzato per l’anno in corso con aumenti dei metalli non ferrosi del 30% e prezzi stimati in rialzo grazie proprio agli stimoli fiscali delle principali economie mondiali. I metalli interessati sono rame, alluminio e minerale di ferro, ovvero tutti quei metalli indispensabili allo sviluppo di progetti infrastrutturali.
La Russia torna al centro dell'attenzione
Se da una parte la domanda di metalli non ferrosi rappresenta la nuova corsa all’oro delle economie avanzate, di contro, quelle legate al petrolio sono in fase calante. Le quotazioni del petrolio, infatti, dovrebbero subire un netto calo, visto il minor interesse nel combustibile fossile e dei suoi derivati. Secondo alcune stime, dovrebbe spingere i prezzi a 40 dollari al barile entro il 2030, escludendo shock di mercato, implicando una riconversione delle economie basate sull’estrazione del petrolio. Gli Emirati Arabi Uniti sono un perfetto esempio di mutazione dell’economia basata sullo sfruttamento delle risorse minerarie in un’economia basata sul turismo di lusso.
Questo cambiamento economico ha implicazioni anche sul potere geopolitico rappresentato dai paesi produttori di oro nero verso quelli incentrati sullo sfruttamento dei metalli. Non a caso la questione geopolitica è al centro dell’attenzione mondiale, con l’aumento delle tensioni tra paesi chiave, tra cui Usa e Russia. In particolare, la Russia ricopre un sempre crescente ruolo sul mercato, con la presenza di importanti società estrattive, sia di metalli che di petrolio. Negli ultimi anni, infatti, è entrata a far parte di quel gruppo di nazioni produttrici di petrolio non facenti parte dell’Opec, denominato Opec+, al fine di controllarne la produzione a livello mondiale e di conseguenza indirizzare i prezzi del greggio. Arabia Saudita e Russia, pertanto, hanno sempre più intensificato i loro colloqui per monitorare l’andamento delle quotazioni in una fase di forte calo della domanda, in modo da gestire al meglio le quote produttive e non avviare una corsa al rialzo nella produzione al fine di aumentare le proprie quote di mercato.
La Russia ricopre un ruolo crescente sul mercato, con la presenza di importanti società estrattive, sia di metalli che di petrolio
Il Tesoro americano, pertanto, aveva imposto sanzioni all’oligarca Oleg Deripaska, proprietario della società Rusal, sanzionando chiunque avesse avuto rapporti commerciali e privati con la società russa. L’effetto sui mercati è stato immediato, con le quotazioni dell’alluminio passate in due settimane dai 2 mila dollari per tonnellata a 2 mila e 720 dollari per tonnellata, mettendo letteralmente in ginocchio un importante settore dell’economia mondiale.
L’uscita di Deripaska dalla gestione della società aveva calmierato i prezzi, ma non le tensioni tra i due paesi, che tornano ora nuovamente in contrasto, complice il recente schieramento di truppe al confine con l’Ucraina, e forte anche del controllo delle forniture di gas dalla Russia verso l’Europa.
Le tensioni geopolitiche, inoltre, hanno visto la Russia nuovamente al centro dell’attenzione mondiale in particolare sul mercato dell’alluminio. Nell’aprile del 2018 gli Stati Uniti hanno sanzionato una serie di oligarchi russi, vicini al presidente russo Vladimir Putin, accusati di aver interferito nelle elezioni americane del 2016 che avevano portato alla vittoria di Donald Trump.
La Cina punta a diventare la prima potenza mondiale
Escludendo tuttavia i grandi attori mondiali, negli ultimi anni alcuni stati “minori” hanno avuto un ruolo sempre più di rilievo grazie alla ricchezza del proprio sottosuolo. L’Indonesia è il primo produttore di nichel e stagno al mondo, ed ora che la domanda di metalli per nuove batterie è in forte crescita, ricopre un ruolo chiave nel controllo del mercato. Ricca dei componenti chiave nella produzione di batterie per auto, di vecchia e nuova generazione, al fine di poter sviluppare la propria economia interna ha avviato una serie di politiche di controllo dell’export di minerali grezzi estratti nel paese. Secondo alcune normative messe in atto dall’Indonesia, l’esportazione di minerale grezzo è vietato a partire dal 2020, così come lo era già stato nel 2014 quando in seguito ad una serie di eccezioni vennero meno le restrizioni.
Tuttavia, la scelta di bloccare l’export di nichel ha inizialmente favorito le Filippine che, come importante produttore nell’area del pacifico e secondo produttore al mondo, ha sfruttato il blocco all’esportazione dell’Indonesia per aumentare la propria quota sul mercato cinese. Negli ultimi anni, però, la voglia di sviluppare l’economia locale aveva portato il presidente filippino Rodrigo Duterte a seguire l’esempio indonesiano limitando l’export di minerale grezzo, e favorendo la costruzione di fonderie per trasformare il minerale in prodotti semilavorati. Decisione recentemente rivista a causa del contraccolpo
negativo all’economia dato dall’esplosione della pandemia.
L’Indonesia è il primo produttore di nichel e stagno al mondo, ed ora che la domanda di metalli per nuove batterie è in forte crescita, ricopre un ruolo chiave nel controllo del mercato
Per ovviare a questo problema la Cina ha avviato nel corso degli anni una serie di acquisizioni e aiuti economici ai paesi poveri, in cambio però dello sfruttamento delle proprie ricchezze minerarie. La Cina, infatti, ricopre un ruolo importante nella Repubblica Democratica del Congo, in Nigeria, in Ghana, in Zambia, in Chad, in Tanzania e in Namibia solo per citarne alcuni. Di fatto il dragone rosso ha investito nell’80% dell’Africa, grazie al Forum sulla Cooperazione Africa-Cina (Focac), una cifra di circa 60 miliardi di dollari nel biennio 2015-2016, delineando questi investimenti come una sorta di neocolonialismo cinese. In cambio, ha ottenuto i diritti di sfruttamento di miniere e giacimenti con lo scopo di alimentare la forte richiesta di materiale per le proprie industrie.
Inoltre ha costruito strade, ferrovie e porti per rendere più facile l’invio di questi importanti minerali verso la madrepatria, seppur queste infrastrutture non sembrano aver giovato all’economia del continente africano. Anche la costruzione di agglomerati urbani in prossimità delle miniere, al fine di minimizzare gli spostamenti dei lavoratori, ha avuto l’effetto di una cementificazione incontrollata e inutile in un paese dove spesso mancano i beni di prima necessità, con il risultato dell’abbandono delle
città e un ulteriore impoverimento del territorio anche e soprattutto in termini agricoli. Inoltre l’irrompere della pandemia ha rafforzato la presenza delle società cinesi in Africa in cambio di mascherine protettive, guanti, respiratori e materiale sanitario di ogni genere, tutto ciò con un costo altissimo per la popolazione locale.
Ma la Cina ambisce a diventare la prima potenza mondiale a discapito degli Stati Uniti d’America, dopo il sorpasso del Giappone una decina di anni fa. La pandemia e le spinte governative hanno accelerato i tempi. Si stima che questo traguardo possa essere tagliato già nel 2028, in anticipo di almeno 5 anni rispetto alle precedenti ipotesi, anche grazie alla netta ripresa dell’economia cinese che nel primo trimestre di quest’anno ha segnato un balzo del Prodotto Interno Lordo del 18,3%. Tuttavia, la spinta economica e di conseguenza la domanda di materie prime, potrebbe scontrarsi con l’ennesima crisi sulla catena di approvvigionamento, rendendo difficile il processo di sostituzione delle vecchie tecnologie con le nuove.
La crisi dei microchip minaccia l'economia green
La carenza di microprocessori però, sta rallentando tutto il processo di rinnovamento tecnologico e ambientale, basti pensare che oggi la tecnologia consente di controllare e gestire ogni attività ed è centrale per la riconversione energetica rispettosa dell’ambiente. Senza i microprocessori è difficile utilizzare l’energia eolica o solare e destinarla alle centrali elettriche che a loro volta la distribuiscono nelle abitazioni e negli uffici assecondando
la domanda. Inoltre è difficile gestire la forza motore per consentire alle auto di nuova generazione di ottimizzare il consumo delle batterie e la distribuzione della forza per metterle in movimento, oppure controllare i sistemi Gps navali per favorire rotte più brevi e approdi in porti sicuri anche con condizioni avverse.
L’assenza di un elemento piccolissimo, ormai sempre più presente nella nostra vita, renderà difficile il cambiamento verso un’economia green. Le stime di un maggior consumo di materie prime potrebbero registrare una battuta d’arresto e avere l’effetto contrario portando a un eccesso di offerta e un calo della domanda, con conseguente flessione dei prezzi che allontanerebbe l’economicità di sostituire i combustibili fossili. L’economia green è il futuro prossimo, ma non è detto che sia così immediato come appare oggi.
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