La risposta delle banche per l'economia mondiale
Dopo il periodo di lockdown, il lavoro delle banche centrali è stato caratterizzato dall’immissione di liquidità aggiuntiva ai sistemi bancari.
Dopo il periodo di lockdown, il lavoro delle banche centrali è stato caratterizzato dall’immissione di liquidità aggiuntiva ai sistemi bancari.
Dopo aver affrontato un periodo di lockdown, all’interno delle proprie abitazioni, e aver sperimentato il distanziamento sociale in tutte le attività pubbliche e private al fine di limitare i contagi da nuovo coronavirus CoV19, il mondo sta provando a tornare ad una normalità fatta di gel igienizzanti e mascherine protettive. L’economia, paralizzata nei primi mesi dell’anno, sta provando ora a ripartire con tutte le difficoltà del caso, complice il calo del potere d’acquisto di una parte della popolazione mondiale e i timori di seconde ondate. Abbiamo imparato a vivere per fasi, e dopo aver superato una prima “Fase 1” di segregazione all’interno delle proprie mura domestiche, stiamo ora vivendo la “Fase 2” sperando presto di poter parlare di “Fase 3”, ovvero ritorno alla piena normalità.
Anche l’economia mondiale ha visto scandire gli interventi in diverse fasi. La prima fase, agli albori della pandemia, ha visto tutte le banche centrali intervenire subito sui tassi di interesse azzerandoli in modo da fornire un immediato supporto al sistema finanziario. In particolare, la Federal Reserve è intervenuta in diversi momenti, seppur ravvicinati, portando i tassi di interesse dall’1,75% allo 0% (0-0,25% il range di riferimento della banca centrale statunitense), a cui hanno fatto seguito praticamente tutte le banche centrali delle economie avanzate, dalla Bank of England alla Bank of Canada passando per la Reserve Bank of Australia e per la Reserve Bank of New Zealand nonché la People Bank of China (ovvero la banca centrale cinese). La Bce, invece, ha avuto un ruolo da spettatore in questa corsa per la riduzione dei tassi avendo già tassi di interesse allo 0% e di depositi negativi a -0,40%.
Al fine di contrastare il calo dell’economia dell’Eurozona, oltre all’intervento della Bce anche la Commissione Europea ha esposto un piano di supporto all’economia, ma almeno due paesi cercheranno di limitare gli aiuti a fondo perduto
Da Commissione Europea e Bce, interventi per ripartire
La Fase 2 delle banche centrali è stata caratterizzata dall’immissione di liquidità aggiuntiva ai sistemi bancari. In particolare, la Banca Centrale Europea avendo questa come unica arma, ha effettuato due immissioni di denaro attraverso il Pandemic Emergency Purchase Programme (Pepp) da 750 miliardi di euro, all’inizio dell’esplosione della pandemia (18 marzo con una riunione straordinaria del Consiglio Direttivo), a cui si sono aggiunti altri 600 miliardi di euro a giugno per un totale di 1.350 miliardi di euro al fine di contrastare il crollo del Prodotto Interno Lordo, atteso a -8,7% nell’anno in corso (per poi risalire al 5,2% nel 2021 ed a +3,3% nel 2020, rispetto alle attese esposte a marzo per un +1,3% ed un +1,4%). L’inflazione, invece, dovrebbe calare allo 0,3% nel 2020 (da +1,1% atteso a marzo) per poi risalire lievemente nel 2021 a +0,8% (+1,4% atteso a marzo) e nel 2022 a +1,3% (+1,6% stimato a marzo).
Il programma emergenziale della Bce, di fatto, consiste in acquisti di titoli del settore pubblico e privato che in una prima battuta era esteso fino alla fine del 2020 ma che successivamente, con l’aggiunta di nuova liquidità, è stato esteso al 2021 con un reinvestimento dei titoli in scadenza fino alla fine del 2022. Di fatto la Bce ha messo in conto due anni di tempo per sostenere l’economia dell’Eurozona, che già nel primo trimestre del 2020 aveva evidenziato i primi pesanti contraccolpi economici oltre che sociali.
Il Prodotto Interno Lordo dell’Area Euro, infatti, ha segnato nel primo trimestre del 2020 una flessione del 3,6% andando a registrare il calo più importante dal 1995. Francia e Italia hanno subito il crollo più rilevante tra le economie dell’area, segnando entrambe un -5,3% su base annua, seguiti da Spagna (-5,2% annuo) e dalla Germania (-2,3%). Tuttavia, le flessioni più marcate sembrano dover essere attese nel secondo trimestre dell’anno quando il crollo dell’economia dovrebbe raggiungere livelli mai immaginati prima (alcune stime parlano di una flessione del PIL vicina al 20%).
Ai piani di sostegno si devono poi aggiungere tutti i piani interni delle economie dell’Eurozona e tra questi spicca maggiormente è quello tedesco
Al fine di contrastare il calo dell’economia dell’Eurozona e, nel tentativo di rafforzare i conti pubblici degli stati membri, oltre all’intervento della Bce anche la Commissione Europea ha esposto un piano di supporto all’economia che ora si prepara alla battaglia finale (attesa a luglio dopo il passo falso di giugno), con almeno due paesi (Olanda e Danimarca, ma almeno altri due a loro sostegno) che cercheranno di limitare gli aiuti a fondo perduto. Il Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha sottolineato come l’ammontare del programma da 750 miliardi di euro aiuterà l’economia europea a riprendersi dopo il crollo dovuto dalla pandemia da Covid-19 e sarà diviso in due parti. La prima da 500 miliardi sarà a fondo perduto mentre la restante parte da 250 miliardi sarà a tassi agevolati ed è legata al prossimo bilancio europeo 2021-27, per cui i fondi saranno disponibili solo a partire dal 2022.
I piani interni dell’Eurozona
Per reperire l’ammontare necessario, l’Unione Europea emetterà bond comunitari mentre una quota ulteriore sarà ottenuta da tasse su plastica e sul digitale, andando a colpire i big dell’economia digitale globale. Tra i beneficiari principali, Italia e Spagna avranno rispettivamente 172,7 miliardi di euro (81,8 a fondo perduto e 90,9 in prestiti) e 140,4 miliardi (77,3 a fondo perduto e 63,1 in prestiti), ma altri paesi beneficeranno solo degli aiuti a fondo perduto e tra questi spiccano Francia (38,8 miliardi) e Germania (28,8 miliardi), ovvero coloro che in occasione del bilaterale franco-tedesco avevano avanzato per primi una proposta da 500 miliardi. Restano i dubbi, tuttavia, sull’erogazione dei fondi considerando che i paesi più rigoristi vorrebbero l’attuazione di programmi di riforma legando le tranche di aiuti al raggiungimento degli stessi, mentre la restituzione dei fondi avverrà tra il 2028 ed il 2058.
A questi piani di sostegno si devono poi aggiungere tutti i piani interni delle economie dell’Eurozona. Tra questi, quello a spiccare maggiormente è quello tedesco che a inizio giugno ha varato una serie di pacchetti di rilancio al fine di attenuare la più violenta recessione dal dopoguerra. Un piano da 130 miliardi di euro che prevede, tra l’altro, un taglio dell’Iva per un periodo di 6 mesi in modo da stimolare il consumo interno, oltre a programmi di aiuto per aziende e famiglie con un bonus di 300 euro a figlio. La manovra, pari al 4% del PIL tedesco, prevede anche programmi “green” favorendo quella transizione tanto cara alla nuova gestione politica della Commissione Europea.
Viene, infatti, raddoppiato il bonus per le vetture elettriche pure (Bev) o elettriche plug-in (Phev) da 3.000 a 6.000 euro per l’acquisto di auto con un prezzo di listino fino a 40.000 euro, mentre quelle fino a 65.000 euro beneficiano di un bonus di 5.000 euro da dividere tra case costruttrici e stato. Con questa manovra, quindi, la Germania aumenterà il proprio debito pubblico, ma i 130 miliardi di euro stanziati non si tramuteranno tutti in nuovo debito grazie alla dote di 60 miliardi del precedente pacchetto di aiuti varato a inizio pandemia (122,5 miliardi di euro).
La Casa Bianca ha varato una serie di iniziative a sostegno, il segretario al Tesoro, Steve Mnuchin, non ha escluso l’ingresso dello Stato nei capitali societari di aziende in difficoltà con delle nazionalizzazioni di salvataggio
Naturalmente, per quanto riguarda la situazione italiana, il governo ha approvato diversi piani a sostegno dalle prime fasi dell’inizio del lockdown fino ad ora, con piani da 155 miliardi per la Fase Due nel “Decreto Rilancio” varato a maggio. A questo si vanno a sommare altri interventi tra cui l’estensione delle cassa integrazione e l’aiuto alle partite Iva e alle piccole imprese (da 25 miliardi di euro) al fine di salvaguardare l’ossatura economica del paese fatto da piccole e micro imprese.
La ripartenza degli Stati Uniti
Come detto, però, non è stata solo l’Europa ad intervenire massicciamente sul fronte economico per contrastare gli effetti negativi del coronavirus sull’economia. Gli Stati Uniti, ad esempio, oltre ai repentini tagli dei tassi da parte della Federal Reserve, hanno visto la Casa Bianca varare una serie di iniziative a sostegno dell’economia (tra cui l’invio di assegni da 1.200$ per ogni cittadino e 2.400$ per ogni famiglia con redditi inferiori ai 99.000 dollari annui), per un totale di 2 trilioni di dollari che potrebbero diventare 4 trilioni con azioni mirate da parte della Federal Reserve per sostenere banche e aziende. Il segretario al Tesoro, Steve Mnuchin, non ha escluso l’ingresso dello Stato nei capitali societari di aziende in difficoltà con delle nazionalizzazioni di salvataggio per evitare effetti maggiormente negativi per la prima economia mondiale.
A questo si è aggiunta anche l’azione imponente della Federal Reserve che, oltre al taglio dei tassi suddetto, ha messo in campo un arsenale di tutto rispetto e consistente in un Quantitative Easing che da 700 miliardi di dollari è divenuto in poco tempo illimitato, a cui si è poi aggiunto un programma rivolto proprio ai cittadini e alle preservazione di posti di lavoro denominato Main Street Lending Program (Mslp) da 600 miliardi di dollari con l’obiettivo di sostenere e finanziare le imprese in difficoltà.
Di fatto tutte le economie mondiali stanno cercando una soluzione per alleviare le difficoltà che la pandemia sta avendo sulla popolazione, non solo dal lato sanitario, ma anche sotto l’aspetto economico. Difficile dire ora quale sarà la ricetta vincente, certo è che la preservazione di posti di lavoro appare al momento l’obiettivo numero uno di tutti i paesi mondiali, dato che la perdita di potere d’acquisto delle famiglie graverà sulla ripresa economica dei paesi. A tal proposito alcuni ipotizzano che siano ormai maturi i tempi per sperimentare quello che Milton Friedman (esponente principale della scuola di Chicago) aveva teorizzato nel 1969 nel suo famoso studio “The Optimum Quantity of Money” e che l’ex presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, aveva ipotizzato già nel corso della crisi finanziaria del 2008, ovvero l’helicopter money (letteralmente il lancio dei soldi alla popolazione dal cielo, che a qualcuno farà ricordare la scena dell’inizio della terza stagione della “Casa di Carta”). Difficile capire se questa sarà la scelta migliore e risolutiva alla crisi più profonda dal dopoguerra (che l’amministrazione Trump sta in qualche modo testando), ma è evidente come in assenza di benefici delle azioni delle banche centrali e dei governi, ipotizzare gesti estremi appare quanto mai la scelta più saggia.