Le sfide economiche dopo il coronavirus
La diffusione in tutto il mondo del nuovo coronavirus ha causato una emergenza sanitaria e una crisi economica che non ha precedenti nella storia moderna.
di Marco Fortis
La diffusione in tutto il mondo del nuovo coronavirus ha causato una emergenza sanitaria e una crisi economica che non ha precedenti nella storia moderna.
di Marco Fortis
Il primo semestre del 2020 è stato dominato dall’emergenza sanitaria legata alla diffusione su scala mondiale del Covid-19 e dagli effetti economici scatenati dalle misure poste in essere dai vari Paesi del mondo per arginarla; emergenza sanitaria che in questi mesi estivi sta ridimensionando la sua portata in Europa, ma che in molte altre aree del pianeta sta ancora imperversando, con migliaia di contagi e, purtroppo, di decessi ogni giorno.
Inizialmente circoscritto ai paesi asiatici, e prevalentemente a Cina e Corea del Sud, il virus ha fatto il suo prepotente ingresso in Europa a metà febbraio colpendo dapprima l’Italia (e la Lombardia in primis) con un’aggressività ormai nota e poi espandendosi rapidamente anche alle altre economie europee (con Spagna, Regno Unito, Francia e Germania in testa). Il contagio ha poi raggiunto il Nord America, colpendo soprattutto gli Stati Uniti (che oggi sono il Paese con il maggior numero di contagi), per poi diffondersi prepotentemente anche in Sud America e penetrare anche in Africa e Australia. Assumendo, in conclusione, i tratti di una vera e propria pandemia.
In molti paesi per contenere la pandemia è stato necessario limitare le libertà personali di movimento e di interazione sociale, sospendere la didattica in presenza nelle scuole e nelle università, chiudere temporaneamente molte attività produttive.
Le misure fiscali introdotte dai governi
In molti paesi per contenere la pandemia è stato necessario limitare le libertà personali di movimento e di interazione sociale, sospenderLe conseguenze economiche e sociali della diffusione dell’epidemia da coronavirus non hanno tardato a manifestarsi. E, per farvi fronte, i governi dei maggiori Paesi avanzati sono intervenuti (più o meno) prontamente, introducendo misure fiscali rilevanti a sostegno dei redditi dei cittadini e delle attività produttive; mentre le banche centrali dei principali Paesi sono intervenute ripetutamente per sostenere la domanda, offrendo fondi a tassi nulli o negativi, e garantire la liquidità sui mercati: sono infatti ripartiti i programmi di quantitative easing senza limitazioni agli acquisti (Fed) o per quantità mai sperimentate in precedenza (Bce).
Nonostante le ingenti misure adottate dai vari paesi per contrastare la diffusione del virus, le ripercussioni sulle rispettive economie e, conseguentemente, sulla crescita globale saranno imponenti, probabilmente di portata analoga, se non addirittura superiore, a quella della recessione del biennio 2008-2009. A differenza di allora però, la natura dello shock di oggi è di tipo reale (e non finanziario) e se nella prima fase ha colpito soprattutto i servizi, in cui è più elevata la componente occupazionale, non ha tuttavia tardato ad estendersi rapidamente anche al settore manifatturiero, non solo in seguito al temporaneo arresto delle attività produttive (applicato, seppur in misura differente, dalle autorità nazionali di tutte le principali economie avanzate), ma anche per via della riduzione degli scambi internazionali.
Gli effetti del virus sull’attività economica (si possono leggere nella prima Nota dell'Ufficio Studi di Anima, NdR) sono, infatti, sia diretti sia indiretti. I primi riguardano le perdite economiche che sono derivate dalle limitazioni di spostamento delle persone e dalle chiusure di esercizi commerciali (quelli dedicati alla vendita di beni non strettamente indispensabili), di molte attività dei servizi (dalla filiera turistica, a quella dell’intrattenimento o legata alla cura della persona), ma anche di aziende manifatturiere (se impegnate in produzioni individuate come non essenziali), stante la necessità di mettere in sicurezza i lavoratori. I secondi sono invece legati alla durata della crisi sanitaria e alla sua estensione a livello globale, e riguardano: la scarsità, o mancanza, di beni intermedi che possono causare danni alle catene del valore, con le imprese dell’indotto che subiscono le conseguenze del blocco di produzioni in altre imprese; i fallimenti delle imprese o la riduzione del personale lavorativo, che riducono il reddito disponibile e quindi la spesa per i consumi; il calo della domanda internazionale, che riduce le esportazioni e quindi la produzione interna; l’elevata incertezza, che aumenta la propensione al risparmio delle famiglie e riduce gli investimenti delle imprese, frenando la possibilità di rimbalzo una volta che l’emergenza sarà terminata.
Spesso il lockdown si è svolto in periodi differenti da paese a paese, con forti diseguaglianze economiche e notevoli problemi alle aziende nel reperimento dei prodotti e forniture.
Una seconda ondata
In tale contesto le prospettive economiche, oltre ad essere a tinte fosche, sono eccezionalmente incerte. E profondamente differenti a seconda che si assuma uno scenario caratterizzato da una seconda ondata della diffusione del virus oppure quello in cui tale seconda ondata riesca ad essere evitata: nel primo caso l’Oecd prevede una contrazione del Pil globale pari al -7,6% nel 2020 e un livello ampiamente al di sotto di quelli pre-Covid anche nel 2021; mentre il commercio mondiale, in questo primo scenario, è previsto in calo dell’11,4%. Le previsioni, nel caso del secondo e più favorevole scenario, sono di una contrazione del -6% del Pil mondiale nel 2020, con un recupero quasi totale dei livelli precedenti l’esplosione dell’emergenza sanitaria alla fine del 2021; quanto al commercio mondiale, è previsto in calo del -9,5% prima di riprendere a crescere nel 2021. Più ottimistiche le previsioni del Fondo Monetario Internazionale che, senza distinguere tra due possibili scenari, stima nel 2020 una flessione del Pil mondiale pari al -4,9% (in peggioramento però di 1,9 punti percentuali rispetto alle previsioni di aprile) e una crescita del 5,4% nel 2021.
Per quanto riguarda l’euro-zona, in particolare, le previsioni dell’Oecd per il 2020 sono di una contrazione del Pil pari al -11,5% nel caso in cui dovesse verificarsi una seconda ondata pandemica e un tasso di disoccupazione superiore al 12% entro la fine dell’anno; nello scenario più ottimistico di un non-ritorno del virus o, comunque, della mancata necessità di una seconda chiusura delle attività economiche, la flessione prevista è del -9,1%. Il Fmi prevede invece una flessione del Pil dell’euro-zona pari al -10,2%, mentre le più recenti previsioni della Commissione europea stimano un calo del -8,7%. I Paesi dell’euro maggiormente in difficoltà in seguito all’esplosione dell’epidemia di coronavirus sono Italia, Francia e Spagna; la Germania invece, nonostante l’elevato numero di contagi, ha reagito meglio. Ma in tutti e quattro le misure di lockdown hanno generato una profonda recessione. In Francia le previsioni sono di una contrazione del Pil nel 2020 pari al -14,1% nello scenario più pessimistico di una seconda ondata, e del –11,4% in quello più ottimistico che non prevede nuovi lockdown; il Fmi prevede invece una contrazione del –12,5%, la CE del –10,6%. Le misure adottate dal governo francese hanno rafforzato il sistema sanitario e sostenuto l’occupazione, mentre molto forte è stata la riduzione dei consumi e degli investimenti durante il periodo di chiusura delle attività.
Le ripercussioni sulla crescita globale sono severe: durante la Fase 1 quasi 500 mila imprese hanno sospeso l'attività
Anche in Spagna il driver della recessione è stato il crollo della domanda interna, dovuto alla distruzione dei posti di lavoro e alla chiusura delle attività economiche; ma anche il calo della domanda estera, specialmente nei servizi turistici, che peserà fortemente sulla dinamica economica per tutto il 2020.
Detto ciò, secondo l’Oecd la contrazione del Pil sarà pari al –14,4% se l’epidemia di Covid dovesse ripresentarsi e richiedere l’attuazione di nuovi provvedimenti di contenimento e del –11,1% nel caso più ottimistico di una attenuazione del virus; nelle stime del Fmi la contrazione del Pil spagnolo sarà del –12,8%, in quelle della Ce del –10,9%. In Germania, dove le misure di contenimento sono state più brevi e meno rigorose rispetto alle altre grandi economie europee, la recessione appare meno accentuata: secondo l’Oecd nel 2020 il Pil tedesco si ridurrà dello –8,8% nello scenario più pessimistico di una seconda ondata di Covid-19 e del –6,6% in quello più ottimistico; il Fmi prevede una contrazione del –7,8%, la Ce del –6,3%. Per quanto l’economia tedesca stia dimostrando maggiore resilienza, anche in Germania l’incertezza e la caduta della domanda stanno avendo effetti significativi sugli investimenti delle imprese e sulle esportazioni in settori chiave, prevalentemente manifatturieri.
La situazione italiana
Quanto all’Italia, se entro la fine dell’anno si verificasse un altro focolaio di virus la contrazione del Pil sarebbe del -14% nelle stime dell’Oecd e del –11,3% se non si dovesse verificare una seconda ondata; secondo il Fmi la flessione sarebbe del –12,8%, e del –11,2% secondo la Ce.
In Italia, l’emergenza sanitaria si è venuta a sovrapporre a una condizione già compromessa, con evidenti sintomi di stagnazione, emersi alla fine del 2019, solo in parte mitigati a inizio 2020 da alcuni segnali positivi provenienti dalla produzione industriale e dal commercio con l’estero.
A partire da fine febbraio i necessari provvedimenti di contenimento adottati dal governo per fronteggiare l’epidemia hanno generato un effetto profondo sull’economia del paese, impattando negativamente su produzione, investimenti, consumi e mercato del lavoro. Anche la domanda estera ha pesantemente risentito della forte riduzione degli scambi internazionali e il settore turistico, importante risorsa dell’economia italiana, ha subito una imponente battuta d’arresto. In particolare, nelle stime dell’Istat, basate prevalentemente sull’ampiezza della caduta della produzione nel secondo trimestre 2020 (che è stata più marcata di quella del primo) e su ipotesi inerenti alla velocità della ripresa dei ritmi produttivi nel terzo e quarto trimestre dell’anno, nel 2020 la contrazione del Pil italiano sarà del -8,3% e nel 2021 la ripresa sarà solo parziale (+4,6%).
Oltre alla sostenibilità dei conti pubblici un rischio nel medio periodo sarà legato alle iniezioni di liquidità e i risvolti sull'accesso al credito in un contesto dominato da una fase di forte debolezza dell'economia reale
Stando alle ultime rilevazioni dell’Istat, inerenti agli effetti dell’emergenza sanitaria e della crisi economica sulla attività delle imprese italiane, durante la cosiddetta fase 1 (tra il 9 marzo e il 4 maggio) 459mila imprese (aventi più di 3 addetti) hanno sospeso l’attività e si tratta prevalentemente delle imprese delle costruzioni e dei servizi: queste rappresentano rispettivamente il 58,9% e il 53,3%, a fronte del 36,0% delle imprese dell’industria in senso stretto e del 30,3% del commercio. I settori di produzione dei beni d’investimento (automotive, macchinari, apparecchiature elettriche, ecc.) sono quelli che, all’interno dell’industria in senso stretto, hanno registrato la percentuale più elevata di imprese che hanno ripreso l’attività prima della fine del lockdown (58,9%); il commercio, invece, è il comparto rimasto più attivo, con il 46,7% di imprese sempre operative nel corso del lockdown e il 23,1% che ha ripreso l’attività prima del 4 maggio.
In conclusione, appare evidente l’estrema complessità della situazione a livello mondiale e che i rischi connessi alla pandemia perdureranno ben oltre il breve periodo. Limitando l’analisi al nostro Paese, tra i principali rischi nel breve termine spicca quello della sostenibilità sociale: nonostante la resilienza del nostro manifatturiero, le imprese, così come le famiglie, stanno faticosamente cercando di tornare alla normalità e le tensioni, che già stanno affiorando, potrebbero ulteriormente acuirsi per le categorie maggiormente colpite dalla crisi generata dal Covid-19, con un quasi inevitabile aumento delle disuguaglianze nella distribuzione del reddito. Le misure di politica economica che sono state messe in atto hanno certamente “tamponato” momentaneamente la gravità della situazione, soprattutto con riferimento al sostegno ai redditi. È però inevitabile volgere uno sguardo anche al medio periodo, dove si affacciano sostanzialmente due rischi tra loro collegati: il primo riguarda la sostenibilità dei conti pubblici (che è di particolare rilevanza dato l’elevato livello del nostro debito pubblico); il secondo riguarda le ingenti iniezioni di liquidità da parte delle autorità di politica monetaria e i risvolti sull’accesso al credito in un contesto dominato da una fase di forte debolezza dell’economia reale.
Le misure di politica economica che sono state messe in atto hanno certamente “tamponato” momentaneamente la gravità della situazione, soprattutto con riferimento al sostegno ai redditi
In attesa della definizione dei progetti nazionali per sostenere la ripresa (che dovrebbero privilegiare gli investimenti in opere pubbliche e la semplificazione burocratica), emergono elementi incoraggianti dalla risposta data dalle Istituzioni europee. Sono state allentate le misure di rigore fiscale e si è data una discreta flessibilità per quanto concerne la gestione dei conti pubblici. Inoltre, la Commissione europea ha proposto un articolato piano di sostegno alla ripresa che contempla la mobilitazione di 750 miliardi, anche attraverso l’emissione obbligazionarie da parte della Commissione Europea per conto della Ue. Il piano, in discussione al Consiglio Europeo di luglio, che mira a stimolare la ripresa degli Stati Membri, sostenere imprese private e lavoratori, e coordinare le risposte tecno-scientifiche al virus, giocherà un ruolo rilevante per il futuro europeo e italiano.