L’epidemia da nuovo coronavirus scoppiata in Cina alla vigilia del Capodanno Lunare Cinese (seppur i primi dati di contagio risalgono a dicembre), inizialmente ritenuta confinata nei limiti della provincia Hubei e della principale città Wuhan, si è rapidamente ampliata andando a colpire più di 70 paesi nel mondo con focolai in molte delle principali città.
La prima misura messa in atto, nella speranza di limitare i contagi, è stata la limitazione dei viaggi da e verso le zone di contagio e la chiusura delle stesse verso l’esterno, l’interruzione delle attività produttive nonché quelle di svago, confinando la popolazione nelle ristrette mura domestiche.
Se questa azione dovrebbe portare ad un contenimento del virus, l’effetto economico di decisioni così drastiche appare comunque quanto mai incalcolabile. Molto dipenderà da quanto tempo durerà l’epidemia e dalla capacità di ripresa economica delle aree interessate.
Prove di tamponamento-danni in Cina
In tal senso i governi hanno agito da subito per fornire supporto all’economia locale. A muoversi immediatamente è stata la Cina grazie alla propria banca centrale che ha fornito il supporto economico necessario al fine di limitare l’effetto negativo dal calo della produzione, iniettando sul mercato 1,2 trilioni di yuan (173 miliardi di dollari) all’inizio di febbraio, ovvero la più grande immissione di liquidità in un singolo giorno dal 2004.
A questo la People Bank of China, insieme ad altri regolatori finanziari, ha implementato nuove misure a sostegno delle imprese, in particolare quelle piccole e micro, del settore privato e del settore manifatturiero. La banca centrale ha aggiunto altri 300 miliardi di yuan (43 miliardi di dollari) in prestiti speciali a grandi banche e a selezionate banche locali della provincia di Hubei al fine di fornire un supporto creditizio a tassi di interessi preferenziali.
Tuttavia, nonostante l’effetto positivo per le aziende cinesi, i dati relativi al mese di febbraio sono stati impietosi. Le vendite di auto private in Cina hanno registrato un crollo dell’80%, mentre gli indici manifatturieri e servizi sono passati dall’area di espansione al di sopra dei 50 punti a quella di forte recessione, rispettivamente a 35,7 punti e 26,5 punti.
Il mondo corre ai ripari, la Fed riduce i tassi di interesse
Successivamente con l’espansione del contagio accompagnata da numeri rilevanti in Italia e in Corea del Sud, il mondo ha preso coscienza sulla pericolosità della propagazione del virus e sugli effetti per l’economia, spingendo la Federal Reserve americana a decidere di non farsi cogliere impreparata e di agire riducendo di mezzo punto percentuale i tassi di interesse portandoli all’1,25%.
L’azione della Fed, la prima dei paesi del G7 (in precedenza la Reserve Bank of Australia aveva tagliato i tassi di interesse di 25 punti base portandoli allo 0,50%, ovvero ai minimi storici), ha certificato i rischi che l’economia mondiale sta attraversando, spingendo gli analisti economici ad una riflessione sulle reali armi in mano delle banche centrali al fine di sostenere l’economia.
I mercati finanziari non hanno reagito positivamente alla notizia, inanellando importati ribassi a conferma dei timori di rivivere una crisi che si pensava ormai scongiurata. Da ricordare, infatti, che solo un’altra volta la Fed aveva tagliato i tassi di mezzo punto percentuale, ed in quell’occasione la scelta era stata dettata nel vano tentativo di evitare la recessione a seguito del fallimento bancario post-Lehman Brothers. Il taglio dei tassi del 2008 fu, inoltre, coordinato con le altre banche centrali mondiali.
Al primo taglio dei tassi, a poco più di una settimana di distanza, la Fed ha effettuato un altro taglio dei tassi a sorpresa ma questa volta di un punto percentuale portando il tasso di riferimento allo 0-0,25%, ovvero sui minimi storici, aggiungendo anche un piano di stimolo da 700 miliardi di dollari al fine di limitare gli effetti negativi sull’economia statunitense, certificando la gravità dell’attuale crisi.
Poche azioni coordinate
Alla Fed ha fatto seguito la Banca Centrale del Canada, che ha ridotto anch’essa di 50 punti base i tassi di interesse, nonostante l’economia canadese abbia dei fondamentali migliori degli Usa (si veda a tal proposito l’articolo pubblicato sul magazine L'Industria Meccanica n. 722). In questo caso, la Bank of Canada ha ritenuto elevati gli effetti negativi dell’arretramento delle materie prime, petrolio in primis, che vede l’economia esposta ad un rallentamento economico globale soprattutto nel settore manifatturiero.
Ciononostante, le azioni coordinate non sembrano trovare altri estimatori, con il presidente della Bank of England, Mark Carney (ex governatore della Banca Centrale Canadese), che ritiene più efficace l’implementazione di azioni mirate da parte dei paesi interessati per meglio agire nei tempi e nei modi più appropriati, che è poi quello che ha fatto il governo italiano e in seconda battuta anche l’amministrazione Trump con lo stanziamento di circa 100 miliardi di dollari, seppur alla fine la BoE ha deciso di allinearsi tagliando di mezzo punto percentuale i tassi di interesse portandoli allo 0,25% varando misure straordinarie per imprese e famiglie giustificando questa scelta necessaria in vista di un prossimo shock per l’economia.
Entrano in gioco di decreti legge italiani
Il governo italiano, intanto, ha messo in atto una serie di decreti legge mirati a contrastare l’effetto negativo del coronavirus per un totale di 25 miliardi di euro, chiedendo al parlamento lo sforamento dello 0,6%-0,8% del rapporto debito/PIL. Azioni che hanno ottenuto il bene placido anche dalla Commissione Europea con ulteriori conferme di aiuto da parte dell’Eurogruppo con un fondo da 25 miliardi di euro (che verrà ampliato visto il propagarsi della crisi nel resto dell’Europa).
L’azione di sostegno economico, tuttavia, non sembra poter evitare un arretramento della crescita del bel paese che, secondo le principali società di rating e banche d’affari, registrerà un 2020 negativo con un PIL in calo tra lo 0,3% e lo 0,5%, complicando ulteriormente la flebile ripresa dell’economia italiana che già nel primo trimestre di quest’anno potrebbe entrare in recessione tecnica (due trimestri consecutivi con segno meno).
D’altro canto, la crisi attuale non può essere lasciata solo alla gestione degli stati coinvolti, complici anche le stringenti limitazioni di rapporto deficit/PIL in Europa, considerando che lo sforamento eccezionale di quest’anno per l’Italia implicherà tagli alla spesa pubblica o aumento delle tassazioni negli anni a venire che ingesserà nuovamente le manovre economiche degli stati.
Il nuovo quantitative easing europeo
L’attenzione principale era, inoltre, rivolta alle mosse della Banca Centrale Europea che ha confermato i tassi allo zero per cento ma ha lanciato un nuovo Quantitative Easing da 120 miliardi di euro, nonostante l’idea per 2020 fosse rivolta a riformare il target di inflazione.
La presidente Lagarde, tuttavia, si è dimostrata poco incline a prendere decisioni forti, così come fece il suo predecessore Mario Draghi diventato famoso per il suo “whatever it takes”, tanto da mettere sotto pressione i titoli di stato italiano. Infatti, a seguito delle domande dei giornalisti sull’andamento degli spread tra i titoli di stato, Lagarde ha sottolineato che non fosse compito suo allentare le tensioni sugli spread (con il differenziale tra BTP e Bund che balzava oltre i 200 punti). Successivamente, alcuni membri della BCE, sollecitati anche dall’intervento del presidente Mattarella, hanno cercato di correggere il tiro.
Tuttavia, quest’episodio ha ulteriormente confermato la necessità di governatori capaci di assumersi la responsabilità delle proprie azioni data l’importanza del compito assegnato. Lagarde, tuttavia, avrà modo di riscattarsi a breve, visto l’andamento della pandemia in Europa e visto quello che stanno mettendo in campo le altre banche centrali, con azioni più incisive in caso di frenata economica.
La BCE potrebbe essere la prima banca centrale per importanza a registrare un tasso negativo portando, solo per un periodo di tempo limitato alla risoluzione della crisi, il tasso di riferimento a -0,10% e lasciando quello sui depositi a -0,40%. Si tratterebbe della sperimentazione del modello giapponese su scala più ampia, seppur attualmente non sembra essere vincente, considerando anche i difficili contraccolpi economici di un successivo rialzo dei tassi per ristabilire la situazione corrente. In realtà appare difficile vedere un’azione così decisa da parte della BCE che, probabilmente, si muoverà ancora una volta sui tassi di deposito, portandoli a -0,60%, se lo riterrà necessario.
La chairwoman potrebbe anche riscattarsi dall’autodefinizione di “gufo”, ribadita davanti ai giornalisti che le chiedevano se si ritenesse più “falco” o “colomba” (definizione utile per definire la linea monetaria), non proprio una definizione felice ad onor del vero, sfoderando gli artigli che un rapace notturno e silenzioso ha in serbo.
L'idea di un reshoring delle imprese
Tuttavia, come abbiamo visto nel recente passato, la situazione continua ad essere in evoluzione e solo dopo diversi mesi dalla sua conclusione potremo effettivamente valutare i reali impatti sull’economia globale. Quello che possiamo affermare con certezza è che il mondo risentirà a lungo gli effetti di questa crisi, con alcuni paesi che riusciranno a reagire più velocemente, registrando una ripresa a V, mentre altri che avranno più difficoltà, nella speranza che valga da lezione la conferma che il mondo è ancora impreparato a shock economici, non avendo registrato una ripresa economica solida dopo l’ultima recessione di inizio millennio.
Inoltre, una riflessione sui motivi che hanno portato le economie a non riuscire a reagire prontamente sarà necessaria. L’aver delocalizzato verso i paesi con un costo del lavoro più basso divenendo, di fatto, dipendenti da essi, è forse il motivo principale del rallentamento globale attuale. Se una ruota dell’ingranaggio si ferma, ferma tutto l’ingranaggio.
Riportare parte della produzione delocalizzata all’interno dei confini nazionali potrebbe favorire una crescita, meno forte probabilmente nel breve periodo, ma solida, gettando le basi per una economia in salute e meno soggetta ad eventi esogeni.
Tale tesi sembra, al momento, iniziare ad essere consapevolezza anche tra gli industriali che vedono le proprie aziende in difficoltà ed incapaci di affrontare gli ordini in portafoglio a causa dell’assenza della componentistica necessaria al completamento del proprio progetto. Avere una filiera così lunga, infatti, rallenta i tempi di completamento degli ordini nonché espone le imprese a rischi legati ai “capricci” politici dei principali attori mondiali (si veda a tal proposito la guerra commerciale ancora in atto) che hanno già indebolito l’economia nel 2019 che ha segnato una crescita del 2,9% ovvero un decimo di punto in meno rispetto alle stime, secondo i dati pubblicati dal Fondo Monetario Internazionale (World Economic Outlook di gennaio 2020).
Superare la crisi pensando al futuro
Il mondo dovrà stringersi nel combattere un nemico comune che non conosce confini e classi sociali, colpendo tutto e tutti e minando la stabilità economica mondiale. Il superamento di questa crisi, probabilmente, getterà le basi affinché differenze di pensiero e le relazioni economiche mondiali possano riequilibrarsi in modo naturale, favorendo una crescita economica solida capace di assorbire nuovi potenziali shock. Lo sforzo è richiesto anche a tutto noi cittadini, chiusi in casa per evitare il propagarsi della pandemia, con pesanti difficoltà organizzative. Uniti (ma distanti) riusciremo a sconfiggere l’epidemia ed a rilanciare l’economia del paese.
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