La Cina lo chiede all'industria italiana.
27 giu 2019
Alessandro Durante
Articolo pubblicato su L'Industria Meccanica n. 720
La visita di Xi Jinping a Roma il 22 marzo è stata un successo di diplomazia economica italiana, forse il primo grande colpo che questo governo ha messo a segno in 12 mesi di attività.
Nella visione cinese tutto è simbolo e tutto è significato, perciò il fatto che l'Italia sia il primo paese europeo visitato dal presidente cinese in un roadshow non può essere un caso. Partendo da questa lettura, per la Cina l'Europa inizia dall'Italia. Elemento che ha già irritato la Francia, e sicuramente porterà con sé delle conseguenze da tenere in seria considerazione nelle future analisi per i rapporti Ue-Cina. È quindi importante comprendere il nostro nuovo vicino cinese, potenziale grande partner commerciale che, forse, in un prossimo futuro potrà essere anche partner politico su numerosi fronti.
Polemiche Ue – Italia
Il Business Forum Italia-Cina dello scorso marzo ha portato a Roma grandi aziende a cui noi italiani non siamo molto abituati. Si tratta di strutture in parte private, in parte statali, che rappresentano interi settori sia da un punto di vista politico sia da un punto di vista industriale.
Appaiono essere un'evoluzione delle associazioni di rappresentanza, naturalmente in stile cinese: rappresento perché sono (ne ho la delega dalle aziende), rappresento perché ho (importo e produco beni e servizi), rappresento perché garantisco una scala gerarchica che fa quello che il vertice indica (per non dire ordina).
Un mondo alieno per il nostro sistema industriale, per caratteristiche, dimensioni ed efficienza.
Siamo ben oltre la vituperata lobby. In questo contesto, le nostre aziende devono avere come controparte dei colossi da 10, 20, 30 miliardi di dollari di fatturato. Soggetti con cui le nostre Pmi non hanno alcuna possibilità di interazione diretta poiché troppo sottodimensionate le une rispetto alle altre.
Non farsi assorbire
Come interagire quindi con queste grandi entità cinesi che ogni volta appaiono affascinate dalle nostre piccole e medie imprese?
Molto probabilmente una strada sarà quella di riuscire a proporre una filiera di "soluzioni industriali" per progetti specifici. Se vogliamo vedere con occhi diversi la situazione, potremmo dire che i cinesi ci stanno forzando a trovare un'alternativa alla costituzione di vere e proprie reti di aziende o joint venture a cui i nostri imprenditori sono tanto allergici.
In realtà ci stiamo sforzando di trovare una soluzione per entrare in rapporto con i cinesi che, senza rendercene conto, potrebbe rappresentare l'elemento rivoluzionario per trasformare il nostro approccio industriale. I benefici di questa operazione potrebbero andare ben oltre i benefici che le singole aziende potranno ottenere dall'accesso alle partnership con questi grandi soggetti per specifici progetti. Riuscire a trovare un modo per interagire con i cinesi, in particolare verso i Paesi terzi (Cina esclusa intendiamoci), diventa un'insperata occasione per dare una struttura di network al nostro sistema produttivo.
Da un lato le grandi aziende-enti cinesi proteggono le Pmi presenti nel loro mercato interno dai potenziali competitor italiani, dall'altro aiuteranno le imprese italiane a essere competitive nei paesi Belt and Road in cui parteciperanno come parte della stessa squadra.
Un ruolo centrale lo avranno i soggetti di rappresentanza italiana perché diventeranno quelle terze parti che consentiranno di avere un unico referente, non industriale e senza velleità commerciali, che quindi evita di apparire come un soggetto prevaricante per le Pmi italiane; d'altro canto permette ai cinesi di confrontarsi con un unico soggetto per la ricerca di una filiera di "soluzioni industriali" appunto, dedicata a uno o più progetti. Come ha letteralmente detto il ministro degli Affari esteri cinese Wang Yi in occasione del Business forum «La torta è grande, mangiamo tutti». Sempre facendo attenzione a non diventare noi la torta.
Belt and Road
68 paesi coinvolti in sei linee di comunicazione, quattro terrestri e due marittime. È la nuova via della seta. Un progetto che ha iniziato a chiamarsi così da pochi anni a questa parte, ma che nella testa del governo cinese è ben presente radicato da diversi piani quinquennali ormai. È all'inizio degli anni duemila che l'Ue offre su un piatto d'argento alla Cina l'opportunità di iniziare una penetrazione commerciale che satura velocemente gli abituali canali attraverso cui viaggiano le merci.
Nasce così l'esigenza di costruire nuovi percorsi commerciali che permettano di realizzare non solo nuove e più efficienti vie per il trasporto delle merci, ma anche grandi opportunità di business nella realizzazione delle stesse. Non solo. Diventa asse portante di una politica di espansione internazionale che permea ogni iniziativa cinese con il fine di affermarsi come leader globale.
Arriviamo così oggi ad avere voglia, noi stessi, di costruire queste autostrade commerciali che ci permetteranno di essere sempre più vicini alla Cina, tornando probabilmente a orientare il nostro sguardo a est anziché a ovest per immaginare il nostro futuro, come abbiamo fatto per millenni.
Sumec, Anima e Sace
L'evento del 22 marzo 2019 è stato anche l'occasione per comprendere come interagire con alcune grandi realtà cinesi. Uno in particolare si sta dedicando a costruire un rapporto speciale proprio con la Federazione Anima Confindustria.
Si tratta di Sumec, colosso cinese della manifattura che rappresenta il settore di una serie di tecnologie meccaniche come un'associazione, importa le medesime tecnologie come un distributore con 35 filiali nel mondo, produce come un'azienda manifatturiera che ha più di 18mila dipendenti e 35 siti industriali. Il tutto per un fatturato da 10 miliardi di dollari l'anno.
Con questo importante player Anima Confindustria si è trovata immediatamente d'accordo su due aspetti: da un lato la valorizzazione delle Pmi italiane ricche di tecnologia che la Federazione rappresenta, dall'altro il fatto che Sumec fosse interessata ad avere un unico referente che potesse metterla in contatto con una moltitudine di piccole aziende creative, dinamiche, efficienti e flessibili come le nostre.
Nasce così un immediato feeling che sfocerà in autunno nella sigla di un Memorandum of Understanding con la multinazionale cinese delle tecnologie. In tutto questo la conferma dell'interesse e delle potenzialità di tale accordo arriva sempre da parte cinese che coinvolge Sace alla quale viene chiesto di trovare il modo per concretizzare l'interesse di entrambe le parti, Sumec e Anima, anche da un punto di vista economico. Ancora una volta ci vediamo "costretti" dai cinesi a fare sistema, in questo caso tra Pmi e mondo creditizio e finanziario nazionale.
Come ha detto il premier Giuseppe Conte in occasione del Business Forum «Italia e Cina devono impostare relazioni più efficaci e costruire meglio rapporti che sono già molto buoni». L'industria italiana non vede l'ora di farlo veramente.
Vino e caldaie
Un esempio di quanto sia complicato essere presenti nel mercato cinese può essere dato da due brevi storie che riguardano vino e caldaie.
Per i cinesi il vino è francese: poche qualità (Champagne e Bordeaux sono denominazioni/marchi che hanno una storia di ormai qualche secolo) che possono essere offerte al mercato cinese in milioni di bottiglie all'anno, quantitativo necessario per la Gdo locale.
In pochi anni il desiderio della crescente borghesia cinese di avvicinarsi a una serie di nuovi lussi diventa un trend irrinunciabile, che per essere soddisfatto ha però bisogno – nel caso del vino – di tante e tante bottiglie che la Francia in breve tempo fornisce. Questa richiesta conquista immediatamente il cuore, ben prima del palato, del nuovo target cinese.
E il gioco è fatto. Oggi la quota di mercato dell'enorme mercato del vino cinese è dominata dai vini francesi, e i nostri, seppur buonissimi, faticano a essere presi in considerazione per i limiti strutturali dell'offerta limitata a poche decine di migliaia di bottiglie all'anno offerte dai tantissimi ma microscopici produttori italiani di qualità.
Qualche anno dopo la storia si ripete con alcune tecnologie italiane per la produzione di energia, come nel caso delle caldaie industriali. Tali prodotti accendono l'interesse dei cinesi e dopo lunghi corteggiamenti i prodotti nazionali riescono a conquistare il cuore dei nuovi imprenditori cinesi, quelli che hanno studiato all'estero, che sono consapevoli che la qualità delle tecnologie non si inventa in pochi mesi e che quindi sono disposti a pagare per avere il meglio, soprattutto se a un prezzo ragionevole.
Questa volta sembra fatta. Siamo in cima alla lista delle preferenze ma, a differenza del vino francese, qui la qualità del prodotto non riesce a coniugarsi con la quantità della richiesta cinese che in un anno chiede una produzione di caldaie tale
che una delle maggiori aziende di questo settore riesce, forse, a realizzare in dieci.
Quando questa azienda prova a coinvolgere altri competitor per provare a soddisfare la richiesta unendo le forze industriali, pur mantenendo l'identità di ogni produttore, emerge forte il nostro atavico individualismo che rende sempre difficile sviluppare azioni sinergiche tra aziende diverse.
Questa semplice fotografia fa capire esattamente il tipo di interazione tra Italia e Cina e dove stanno limiti e opportunità. Forse nel caso delle caldaie industriali siamo ancora in tempo a superare i primi e a cogliere le seconde, sempre che i Cinesi ci "costringano" a farlo.
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