Protezione del know how aziendale?
24 lug 2018
Matteo Mussi
Articolo pubblicato su L'Industria Meccanica n. 716.
Blockchain: una parola che nel prossimo futuro sentiremo pronunciare sempre più spesso. Al grande pubblico è nota essenzialmente grazie al fenomeno Bitcoin.
In realtà, si tratta di una tecnologia le cui concrete applicazioni sono potenzialmente innumerevoli e vanno ben al di là del campo delle sole criptovalute. In estrema sintesi, per blockchain si intende una piattaforma a struttura decentralizzata (nel senso che è priva di un'autorità centrale di riferimento) che consente di dare vita ad archivi di informazioni condivisi e inalterabili, che garantiscono a chiunque (nelle blockchain pubbliche) o a determinati soggetti (nelle blockchain private) la possibilità di consultare, ma soprattutto di controllare, in totale trasparenza, le informazioni "caricate" sulla piattaforma.
Uno dei campi di applicazione della tecnologia blockchain più promettenti è senz'altro quello della proprietà intellettuale, in particolare per quel che concerne la gestione e la tutela di beni intangibili quali, ad esempio, il know-how aziendale e il design.
Una quasi alternativa ai brevetti
Le imprese italiane – e quelle del settore della meccanica non fanno eccezione – presentano una propensione piuttosto modesta a tutelare le proprie innovazioni mediante il deposito di brevetti o la registrazione di modelli rispetto, ad esempio, alle imprese tedesche o francesi loro principali concorrenti, e ciò essenzialmente per ragioni collegate ai costi che le Pmi – che rappresentano la stragrande maggioranza delle imprese italiane – non sono disposte a sostenere per depositare un brevetto o registrare un modello.
Pertanto, come abbiamo già scritto in precedenti occasioni (si veda, ad esempio, L'Industria Meccanica 715, "Tutelare il know how in azienda, l'Europa in aiuto delle Pmi"), ad oggi la maggior parte delle aziende italiane è depositaria di know how aziendale e di design che difficilmente può essere tutelato in caso di sottrazione o contraffazione, essenzialmente in ragione del fatto che le aziende si trovano in difficoltà quando devono fornire prove certe circa la titolarità e la datazione delle loro innovazioni non coperte da un brevetto o da una registrazione per modello o design.
La blockchain viene in soccorso di queste imprese poiché, se adeguatamente implementata, consente di precostituire una prova certa sotto il triplice profilo della data, del contenuto e della titolarità.
Per un'azienda, infatti, può risultare assai vantaggioso ricorrere a una blockchain tutte quelle volte in cui, ad esempio, non intendendo depositare un brevetto, ciò nondimeno vuole proteggere il proprio knowhow sotto forma di segreti commerciali.
Ciò è possibile caricando in una blockchain privata, accessibile quindi soltanto a determinati soggetti accuratamente selezionati e dotati delle relative credenziali, tutte le informazioni del caso affinché alle stesse venga attribuita una data certa grazie al marcatore temporale (c.d. "Timestamp") di cui fa uso la blockchain.
Le informazioni così "certificate" dalla blockchain possono essere efficacemente usate dall'azienda in caso di controversie come prova della titolarità del proprio know-how e della datazione dello stesso.
Oppure, quell'azienda che dovesse aver sviluppato un particolare design per un proprio prodotto ma non intendesse, tuttavia, sostenere i costi di una registrazione, potrebbe caricare su di una blockchain il proprio design il quale, da quel momento in poi, sarà univocamente riconducibile a tale azienda a partire dalla data certa conferita dal marcatore temporale della blockchain. Anche in questo caso, l'azienda si precostituirebbe a costi ridottissimi una prova certa da spendere in caso di necessità di tutela del proprio design, visto che l'ordinamento riconosce la proteggibilitàdi un design anche se non è stato registrato (sebbene limitatamente ad un periodo di soli tre anni).
Nessun intermediario grazie alla blockchain
Come si può intuire dai due esempi sopra illustrati, uno degli aspetti innovativi presentato dalla blockchain, che si aggiunge a quello della certezza delle informazioni, risiede nel fatto che viene eliminato ogni intermediario poiché la patente di certezza del contenuto, della titolarità e della datazione, del know-how o del design in questione, non viene conferita da un'autorità centrale, come può essere lo Stato che concede il brevetto o la registrazione di un design, bensì dalla natura stessa della blockchain, la quale, proprio perché costituita da una catena di blocchi immodificabile, garantisce per definizione l'immutabilità dell'informazione caricata.
Questa struttura decentralizzata, che prende il nome di "distributed ledger technology (Dlt)", permette l'eliminazione dell'intermediario traducendosi così in un risparmio di costi, poiché non va remunerato alcun soggetto deputato a fornire la garanzia della certezza delle informazioni.
Con ciò non si vuole di certo sostenere che la blockchain possa sostituire la brevettazione di una invenzione o la registrazione di un design, pratiche che certamente sono vantaggiose ad esempio in termini di durata della tutela. Tuttavia, preso atto del fatto che molte aziende, come detto, non ricorrono a questi strumenti di protezione, laddove l'ordinamento prevede una tutela anche in assenza di brevettazione o registrazione, la blockchain si propone, come visto, sicuramente come un alleato formidabile per precostituirsi le prove del caso.
Uno strumento anticontraffazione a costi sostenibili
Accanto all'applicazione che abbiamo appena visto, la blockchain offre un'altra opportunità alle aziende italiane, quella di certificare il made in Italy della propria produzione.
Anche in questo caso, ciò che valorizza la blockchain è la sua natura di archivio immodificabile, nel quale tutti i soggetti che partecipano alla produzione di un bene possono caricare le informazioni (ad es. data e luogo) relative alla fase della lavorazione che li riguarda ovvero al componente che forniscono.
Si pensi, ad esempio, a quell'azienda manifatturiera che sul mercato utilizza come strumento di competizione il made in Italy dei propri prodotti, la quale viene insidiata da concorrenti che spacciano il loro prodotto come realizzato in Italia quando invece soltanto una parte – e a volte nemmeno quella – della lavorazione viene eseguita nel nostro paese.
Ebbene, la nostra azienda in questione potrebbe organizzare la propria filiera produttiva in modo che ogni fase della lavorazione e ogni componente del suo prodotto venga tracciato prevedendo che i suoi fornitori conferiscano le relative informazioni su di una blockchain, in modo tale che il prodotto finito, cui verrebbe infine attribuito un codice di riconoscimento, ad esempio un codice a barre o un "Qr Code", potrà essere oggetto di verifica, quanto alla veridicità del made in Italy, direttamente da parte dell'acquirente finale.
Questa azienda potrebbe così offrire il prodotto non soltanto affermando che si tratta di un prodotto made in Italy – ciò che potrebbe fare qualsiasi suo concorrente – ma anche fornendo la prova di ciò, poiché il cliente finale, semplicemente attraverso un lettore ottico, come un comune smartphone, potrebbe, inquadrando il codice a barre, accedere alle informazioni caricate sulla blockchain relative alla storia del prodotto, ben sapendo che si tratterebbe di informazioni sicuramente veritiere perché non modificabili.
Va detto che l'idea della tracciabilità del prodotto non è di certo nuova; tuttavia, la sua implementazione attraverso una blockchain che dialoga con un sistema di codici a barre o Qr Code, la rende di sicuro interesse per le aziende che in questo modo possono disporre di un sistema infallibile per certificare sul mercato l'italianità dei loro prodotti. Non è difficile immaginare come tutto ciò potrebbe tornare utile, ad esempio, nelle gare in cui venga richiesta la garanzia di origine del prodotto, che potrà così essere facilmente provata ricorrendo a una blockchain.
L'uso combinato di blockchain ed etichette di identificazione, costituisce un potente strumento di lotta alla contraffazione.
E tutto ciò, ancora una volta, con un risparmio di costi, poiché anche in questo caso la necessità di ricorrere a un intermediario – ad esempio un ente certificatore – verrebbe eliminata.
Ma la blockchain può offrire molto altro alle aziende in tema di tutela della loro proprietà intellettuale.
Contratti smart per ridurre possibili contenziosi
Un'altra applicazione che è in corso di sperimentazione è l'abbinamento della blockchain ai cosiddetti "smart contracts", vale a dire quei contratti che "si eseguono da soli" come un algoritmo di transazione informatizzato che esegue i termini del contratto.
Uno Smart Contract, infatti, è basato su un codice che "legge" sia le clausole che sono state concordate sia la condizioni operative alle quali devono verificarsi le condizioni concordate e si autoesegue automaticamente nel momento in cui i dati riferiti alle situazioni reali corrispondono ai dati riferiti alle condizioni e alle clausole concordate.
È dunque possibile caricare su di una blockchain dei contratti, come ad esempio quelli di licenza di un brevetto oppure di un marchio, i quali si autoeseguono, quanto alle clausole che riguardano il calcolo delle royalty dovute al licenziante, nel momento in cui vengono inseriti nella blockchain anche i dati delle vendite dei prodotti licenziati.
Anche in questo caso non si tratta di una vera e propria novità, ma il fatto che uno smart contract venga eseguito in un ambiente blockchain garantisce alle parti – il licenziatario e il licenziante – un grado di certezza elevatissimo in termini di corretta esecuzione delle disposizioni contrattuali, che può contribuire a ridurre (ahimè per gli avvocati!) significativamente il contenzioso contrattuale, con conseguenti ricadute positive in tema di contenimento dei costi.
Alcune criticità a cui fare attenzione
Ovviamente, la blockchain è una tecnologia che non presenta soltanto aspetti positivi. Si pensi, ad esempio, al fatto che l'immutabilità dei dati conferiti in una blockchain potrebbe, in teoria, rappresentare, oltre che un enorme vantaggio, anche un limite con cui dover fare i conti, poiché può pur sempre verificarsi un errore all'atto dell'inserimento dei dati a cui dover in seguito rimediare.
La tecnologia deve dunque prevedere un modo per correggere l'errore senza che ciò debba comportare una rinuncia alla caratteristica della inalterabilità delle informazioni.
A ciò si aggiunga anche il fatto che la blockchian potrà esprimere al meglio le proprie potenzialità soltanto quando gli ordinamenti giuridici (alcuni vi stanno già provvedendo) riconosceranno a tale tecnologia quel livello di affidabilità che le è proprio. Ciò che pare certo, tuttavia, è il fatto che si tratti di una tecnologia dalle elevate potenzialità per le aziende.
Non è dunque un caso che numerose siano le iniziative sorte al riguardo. Vale dunque veramente la pena cominciare a prendere confidenza fin da ora con questo strumento che promette di migliorare significativamente e vantaggiosamente la produttività e la competitività delle imprese, in questo caso con costi che sembrano essere per davvero alla portata anche di quelle piccole e medie e non solo di quelle di grandi dimensioni.
Energia, Edilizia, Alimentare, Movimentazione e logistica, Sicurezza e ambiente, Industria varia, Industria, blockchain